edizioni a stampa miniate

Dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, i primi tipografi presero a modello le tipologie di manoscritti maggiormente diffuse durante la seconda metà del XV secolo. Nello sforzo di imitare il più possibile il libro manoscritto ed in un momento in cui l’incisione non poteva produrre illustrazioni paragonabili per qualità ed impatto alla miniatura, si faceva ancora ricorso a quest’ultima, soprattutto nella produzione di più alto livello, affidando ai miniatori la decorazione di libri prodotti dai torchi dei tipografi.

Nelle raccolte della Biblioteca Panizzi si conservano sedici incunaboli (edizioni del secolo XV) e quattro cinquecentine (edizioni del secolo XVI) dotati di apparato illustrativo miniato.
Un esempio fra tutti sono gli Statuta magnifice communitatis Regii, stampati a Reggio Emilia nel 1501 e di cui sono noti due esemplari pergamenacei miniati, uno conservato presso la Biblioteca Panizzi (Mss. Regg. C 400) e l’altro presso l’Archivio di Stato reggiano. Nei due esemplari il miniatore ha voluto imitare la decorazione dei codici di presentazione, realizzando un frontespizio allineato al repertorio ferrarese di qualche decennio prima.

Fra gli incunaboli, oltre a quelli qui censiti moltissimi presentano gli spazi per le iniziali principali lasciati in bianco – evidentemente per l’esecuzione, poi non realizzata, di interventi decorativi, miniati o a inchiostro – e le relative letterine “di attesa”.

L’Inc. G 11, Bartolomeo da San Concordio, Summa de casibus conscientiae, [con:] sant’AntoninDe septem vitiis capitalibus, Venezia, Nicolò Girardengo, 12 maggio 1481, presenta tracce di una decorazione miniata alla p. 2 della Summa, strappata.
Eseguiti mediante decorazioni esclusivamente de penna, ma di qualche rilevanza, sono i corredi illustrativi dei volumi: Inc. A 2, san Girolamo, Epistolae, Venezia, Andrea Torresano, 15 maggio 1488, molto eleganti; Inc. A 25, Johann Herolt, Sermones Discipuli de tempore et de sanctis cum promptuario exemplorum et miraculis Beatae Mariae Virginis, [Reutlingen, Michael Greyff, 1479–1482 ca.], con elementi figurati, abbastanza rozzi; Inc. B 21, Scriptores rei rusticae, cur. Francesco Colucci, Giorgio Merula, Reggio Emilia, Bartolomeo Bruschi, 5 giugno 1482; Inc. E 4, Vincenzo Bandello, Libellus recollectorius auctoritatum de veritate conceptionis Beatae Virginis Mariae, Milano, Christoph Valdarfer, 1475.

Semplici stemmi, eseguiti però con una tecnica diversa da quella della miniatura in senso stretto, mostrano i volumi Inc. E 77, Battista Pallavicini, Historia flendae crucis et funeris Jesu Christi, Milano, Jacopo Marliano, 22 gennaio 1478 e Inc. F 17, Albumasar, Introductorium in astronomiam, tr. Hermannus Dalmata, Augsburg, Erhard Ratdolt, [7 febbraio] 1489.
Rimanendo sempre nel campo delle edizioni del Quattrocento, è senza miniature o arricchimenti visivi, ma con l’interessante nota di possesso di un “Luca miniatore”, peraltro non identificato, il volume Inc. C 33, Publio Ovidio Nasone, Opera, cur. Bonaccorso da Pisa e Valerio Superchio, [Venezia], Matteo Capcasa, ed. Lucantonio Giunta, 31 dicembre 1489.
Infine, molte cinquecentine presentano un programma illustrativo più o meno ampio, che esula per motivi tecnici (immagini a stampa o realizzate manualmente con modalità differenti dalla miniatura in senso stretto) dallo specifico di questo repertorio.

14.E.3 | 14.F.26 | 17.B.57 | INC. A 11 | INC. A 36 | INC. B 3 | INC. B 27 | INC. B 42 | INC. B 43 | INC. D 27 | INC. E 8 | INC. E 29 | INC. E 65 | INC. F 57 | INC. F 60 | INC. G 7 | INC. G 10 | INC. G 44 | INC. G 45 | Mss. Regg. C 400

 


14.E.3

[Siddur di rito italiano], inc. “Yavo’u vo kol ish we-ishsah asher mi-bene Yisra’el…”,
Bologna, per mano di Refa’ el Talmi, in nome dei soci e suo (i soci), 1537


Titolo tabellare in oro su fondo blu entro cornice rossa a fiori con stemmi non identificati – c. 1r

Frontespizio architettonico in xilografia
con testo in caratteri tipografici – c. 2r

L’incipit “Yavo’u vo kol ish we-ishsah asher mi-bene Yisra’el” è seguito dall’indicazione “Ke-fi minhag qahal qadosh Romi”, che ci garantisce l’appartenenza del volume al gruppo del rito romano (cioè italiano). Il libro, un manuale per le preghiere dei giorni feriali (che termina con “we-no’ mar amen”), presenta come unica decorazione la struttura di c. 1r, dove troviamo l’intitolazione in lettere in oro a pennello entro un riquadro blu, che è circoscritto da un fregio sui quattro margini, ad ampi motivi floreali su fondo rosso, con due stemmi non identificati, di cui uno, quello sul bordo inferiore, è pure di difficile lettura per uno stato conservativo non ottimale.
Eseguita con non grande cura, questa sezione miniata non attinge in ogni caso ad alti livelli formali, ma è interessante testimonianza della decorazione libraria ebraica, eseguita quasi certamente a Bologna, dove la stampa di edizioni in questa lingua, realizzata da tipografie specializzate, fu qualitativamente e quantitativamente di grande intensità; le scelte repertoriali del decoratore, peraltro, non si legano specificamente al contesto felsineo, basandosi su prototipi di naturalismo diffusi nel XVI secolo pressoché ovunque, in Italia e in tutta Europa, e spesso, nel loro totale aniconismo, del tutto coerenti col contesto specifico in cui le vediamo in questo esempio.

14.F.26

Hore in laudem gloriosissime Virginis Marie secundum usum Romanum, Paris, par Germain Hardouyn, [1532 ca.]


O con Cristo – c. 1v

Il presente volume si caratterizza per il numero estremamente alto di interventi decorativi, quasi tutti consistenti in sezioni miniate (tondi o riquadri) separate dal testo, con l’unica eccezione dell’iniziale di c. 1v, realizzata in modo però abbastanza sommario, seguendo una tipologia del tutto differente, quella del monocromo.
La tipografia dei fratelli Gilles e Germain Hardouyn, attiva dalla fine del XV secolo agli anni ’40 del XVI, diede alle stampe numerosissime versioni di libri d’ore, diverse per formato, ma soprattutto per contenuto testuale (“cum multis suffragiis et orationibus de novo additis”, dice appunto la nota editoriale iniziale); queste edizioni, tutte “all’uso di Roma”, sono purtroppo molto spesso prive di indicazioni di data: una cronologia è però, sia pur approssimativamente, precisabile grazie alla quasi costante presenza di tavole calendariali (Guignard 1942, passim, con bibliografia); per quella presente nella copia di Reggio Emilia, l’indicazione è orientabile sul 1532, ciò che fornisce indicazioni anche sulla decorazione a pennello, che potrebbe però essere ovviamente anche un poco successiva.
Nell’ambito della stamperia si andarono elaborando, a partire già dal secondo decennio del ’500, le tipologie iconografiche delle differenti scene da includere nei punti principali delle ore (alcune in più di una versione); queste strutture compositive rimangono del tutto stabili (a parte qualche sostituzione di casi ritenuti non più à la page, gli adattamenti necessari per passare, per esempio, da una scena a riquadro a una contenuta in un ovale, e qualche piccola variante nei dettagli), e vengono riproposte con continuità fino alla fine dell’attività nota, che, a seguito della morte di Germain (che risulta esercitare la professione fino al 1541, mentre già dal 1523 non risulta più nulla di Gilles), verrà continuata poi dalla sua vedova. La loro esecuzione era affidata talora, in alcune copie, alla riproposizione meccanica delle xilografie, talora alla mano di un miniatore (che peraltro troviamo pure in alcuni casi lavorare sopra a sezioni di supporto già occupate da immagini a stampa): l’opzione è esclusivamente meccanica, dal momento che i prototipi sono sempre gli stessi. La nuova comparsa di taluni temi iconografici dà agio di scandire, grosso modo, la cronologia della produzione: nel caso della copia della Biblioteca Panizzi, per esempio, la Creazione di Eva, a c. 20v, è conosciuta solo nelle versioni delle ore che hanno la sezione calendariale che principia dal 1532, e conferma dunque la datazione approssimativa prima indicata.
Il programma a pennello potrebbe spettare a due decoratori: uno, più controllato e preciso, è l’autore di tutte, o quasi, le scene principali, mentre un altro, dal ductus più fumoso, e con una minore abilità nelle rese fisionomiche, quasi involontariamente grottesche, cura soprattutto gli ovali coi santi (e potrebbe essere il responsabile, a questo punto, delle sezioni solo decorate); entrambi ben si inseriscono in quel momento della miniatura francese in cui la lezione dei grandi artisti della fine del secolo XV e del principio del XVI, in pittura come nella decorazione libraria, si stempera in scelte più mosse e variate, cui non sono estranee le penetrazioni di concezioni ormai del tutto manieriste, in parte sulla sollecitazione degli arrivi dall’Italia, in parte dalla conoscenza di esempi grafici, disegni e stampe, provenienti dalla Germania, e che proprio nell’ambito delle tipografie avevano una grande risonanza, per ovvie ragioni di facilità di adattamento repertoriale (la già citata Creazione di Eva, per esempio, riprende – e quasi copia – la stampa incisa da Holbein per l’edizione tedesca dell’Antico Testamento edita a Basilea nel 1524). Non è da sottacere la possibilità, che ricaviamo da un colophon, non ben chiaro (“et in arte litterarie picture peritissim[us]”), del 1514, che Germain sia stato artista in prima persona (Guignard 1942, p. 41): ma più che pittore, credo si debba pensare a una sorta di elaboratore di programmi, che poteva cogliere da esempi pittorici e miniaturistici, ma soprattutto – appunto – ricavare dalle sempre più diffuse, e artisticamente autorevoli, decorazioni a stampa, quelle indicazioni compositive da applicare poi nelle xilografie e nei programmi a pennello delle sue edizioni grazie al lavoro di artigiani, dipendenti in modo continuato o prestatori occasionali d’opera, che dovevano solo, a quel punto, seguire dei modelli, senza variabili personali che non fossero semplicemente quelle delle loro singole capacità. Nel caso della copia reggiana la qualità non è, per l’appunto, eccelsa, né sempre controllata, e a fronte di alcune scene risolte con maggiore proprietà formale, ne compaiono altre, per così dire, raffazzonate, e ben più corsive: oltre che con una divisione di mani, come sopra si è tentato di fare, la questione potrebbe essere risolta anche considerando invece, per un unico decoratore, il problema di inserire scene di cui non possedeva alcun esempio repertoriale da poter sfruttare (mancando ancora uno spoglio completo delle varie edizioni degli Hardouyn, il raffronto è arduo e non era possibile compierlo in questa sede).
In una situazione in cui il concetto di autografia è appunto assai labile, mi pare che tra le copie note una delle più vicine a quella reggiana, fino a poter arrivare a un’identità di mano, sia il libro d’ore C.P.1.E.30 della Oesterreichische Nationalbibliothek di Vienna (Pächt-Thoss 1977, p. 183 e fig. 413), di cronologia analoga; nella stessa sede, assai vicino è pure l’altra versione C.P.1.E.26 (Pächt-Thoss 1977, p. 182 e figg. 404-408), di qualche anno precedente.


17.B.57

1.
Ambrogio Aurelio Teodosio Macrobio, De somno Scipionis, nec non de Saturnalibus libri, Brixiae, per Angelum Britannicum, 18 ian. 1501
2.
Antonio Urceo, Orationes, seu Sermones. Epistole. Silve. Satyre. Egloge. Epigrammata, Venetiis, mandato & impensis Petri Liechtensteyn, Kal. sep. 1506


Stemma araldico – c. [IIr]

C (Cum) capolettera manoscritto a inchiostro blu – c. [IIr]

L’unico intervento miniato in questa coppia di cinquecentine – con ogni probabilità già rilegate insieme in epoca antica – si trova nella parte inferiore della c. [IIr] della prima sezione e rappresenta uno stemma che reca ai lati due cornucopie stilizzate. Tale blasone è da identificarsi in quello della famiglia bolognese Macchiavelli, a cui appartenne anche un’altra cinquecentina ora alla Biblioteca Comunale di Imola (4 C.65), contenente l’Opera agricolationum di autori vari pubblicata a Bologna nel 1504 per i tipi di Benedetto Faelli (cfr. Lollini 2006). La decorazione dei due stampati, peraltro di una certa qualità, deve essere ricondotta con ogni probabilità a un discreto decoratore intrinseco all’ambiente felsineo, all’epoca sotto l’influsso della miniatura di Giovanni Battista Cavalletto e della sua bottega.

INC. A 11

Gaio Plinio Cecilio Secundo (Plinio il Vecchio), Historia naturalis, cur. Filippo Beroaldo, il vecchio, Parma, Andrea Portilia, 13 febbraio 1480


L (Libros) – c. 4r

Il volume presenta una sola iniziale miniata, di qualità assai elevata, che segue la tipologia della lettera in foglia d’oro che campeggia su di un modulo quadrangolare a bianchi girari, ampliato verso il margine esterno da un breve fregio; ciò garantiva un ottimo standard di leggibilità, e un adeguamento del tutto correttamente conforme alle necessità di esecuzione “all’antica” che poteva essere richiesta in un libro come questo, contenente un testo classico.
La stesura dei girari ben si adatta a una collocazione geografica e cronologica del tutto prossima a quella riportata dall’indicazione di stampa, se non a essa coincidente: quindi, nel pieno contesto della decorazione libraria rinascimentale padana.

INC. A 36

Niccolò di Lira, Postilla super totam Bibliam. [Parte III], Venezia, [Boneto Locatelli], ed. Ottaviano Scoto, in 3 parti, I–II: [senza data]; III: 9 agosto 1488


Q (Quattuor) – c. 1r

Nonostante l’edizione veneziana, e una serie di indicazioni che pure pare associno il volume – con un minimo di continuità – all’area del Triveneto, la struttura dell’unica iniziale decorata e del relativo fregio, certo non particolarmente originale ma di buon livello esecutivo, sembra inserirsi con qualche verosimiglianza nella tradizione ferrarese. Sappiamo peraltro che gli schemi e il lessico della miniatura della città estense si estese in tutta l’Italia settentrionale, e pure in quella centrale, nel campo della decorazione del nascente libro a stampa, soprattutto nella produzione di livello medio, con esiti che, senza grandi modifiche, arrivano a sfiorare il XVI secolo, come vedremo in altri volumi della Biblioteca Panizzi nelle schede successive.
Nel caso specifico, mi pare però che l’adeguamento ai prototipi sia tanto stretto da lasciar ipotizzare un’esecuzione da parte di un miniatore di cultura emiliano–ferrarese, o in patria o in trasferta, a date del tutto prossime a quella riportata dall’indicazione di stampa.

INC. B 3

Tommaso d’Aquino, Catena aurea super quattuor evangelistas, Venezia, Andrea Torresano e Tommaso de’ Blavi, 17 aprile 1486


Corona laurea con nastro – c. 1r


S (Sanctissim) – c. 1r

L’unica iniziale decorata presente nel volume, sul suo frontespizio, si inserisce nella tradizione della decorazione libraria di origine ferrarese; d’altra parte, le tipologie proprie di quella produzione si diffondono poi in modo assai ampio e fino a date molto avanzate (come già accennato qui nella scheda relativa a Inc. A 36). Dato il luogo di stampa, è possibile l’esecuzione da parte di un decoratore di media qualità che affonda le sue radici nella cultura della città estense: un veneziano attivo in patria, o un artigiano proveniente dall’area emiliana e operoso in laguna; ma per quel che sappiamo del pezzo, la sezione miniata potrebbe essere anche stata aggiunta al di qua del Po: in ogni caso, in date del tutto prossime a quella della stampa.
La corona laurea con nastro nel bas-de-page della stessa carta è stata apposta successivamente (lo conferma, oltre lo stile, anche la tecnica ben più involuta), forse già nel XVI secolo, e doveva accogliere forse uno stemma mai eseguito, cui si preferì la semplice indicazione, un ex libris, “Francisci Grassetti”, relativa a un personaggio non ancora meglio noto.

INC. B 27

Gerardus Odonis, Expositio in Aristotelis Ethicam, cur. Graziano da Brescia, Brescia, [s.n.], ed. Bonifacio da Manerbio, 30 aprile 1482


Q (Quid) – c. 20r

L’unica iniziale decorata del volume, di buon livello esecutivo, segue la tipologia della lettera in corpo oro su modulo a bianchi girari; la sua stesura suggerirebbe un’esecuzione in area padana (come peraltro potrebbe essere suggerito dal luogo di edizione, pur se è certo possibile un intervento seriore); la storia del pezzo ci è però del tutto ignota. La cronologia dell’intervento a pennello non si può comunque discostare troppo dalla data riportata dall’indicazione di stampa.

INC. B 42

Gregorio I, papa, Moralia, sive Expositio in Job, cur. Bartolomeo da Cremona, Venezia, Rinaldo da Nimega, 14 giugno 1480


R (Reverentissimo) – c. 20r

Anche in questo caso, come in altri presenti presso la Biblioteca Panizzi (vedi Inc. A 36 e Inc. B 3), il volume, stampato a Venezia, ha una decorazione che segue caratteristiche formali che si basano su prototipi elaborati a Ferrara nella grande stagione della miniatura estense, e poi diffuse in modo assai ampio. L’esecuzione si può riferire – a date comunque prossime a quelle ipotizzate dal punto di vista tipografico, e cioè sul 1480 che si ricava analizzando la produzione dello stampatore, che in questo caso non appone alcuna indicazione di impressit – o a un artista di cultura ferrarese attivo in laguna, o a un miniatore emiliano che si trovò a dover successivamente arricchire il volume, acquisito senza lavori a pennello da un anonimo della sua stessa area.

INC. B 43

Tommaso d’Aquino, De veritate, cur. Joannes Franciscus Venetus, Roma, Arnold Pannartz, 20 gennaio 1476


Q (Questio) – c. 5r

L’impostazione dell’unica iniziale decorata presente nel volume segue, a buon livello formale, tipologie che dall’area padana tendono poi a diffondersi in tutta Italia; il miniatore è probabilmente un decoratore attivo per la stamperia del Pannartz, a date che non si possono discostare troppo dall’indicazione di stampa.

INC. D 27

Aurelio Agostino, De civitate dei [in italiano], [Venezia?, Antonio Miscomini, 1476-1478 ca.]


Fregio intercolonnare a barra, in oro, accompagnato da fregi a ghirigori a inchiostro e fiori nei margini superiore e inferiore; nel bas–de–page, stemma con sigla B.P. entro corona laurea contornata in oro – c. 13r

Il corredo decorativo di questo volume include ventuno iniziali eseguite in letterine d’oro su un modulo a più colori, e un fregio di elegante fattura. La tipologia delle incipitarie appare del tutto comune, e anzi repertoriale, pur se di buona fattura, dal ductus preciso; la struttura miniata separata dal testo, lungo i due margini superiore e inferiore e nell’intercolumnio, nella sua stesura a filigrana ad inchiostro con fiori e palline dorate, appare invece impostata su moduli che si possono far risalire all’area ferrarese, pur se si diffondono poi pressoché ovunque in zona italiana.
È possibile che il decoratore sia un miniatore padano, attivo o a Venezia (dove la maggior parte dei repertori colloca l’edizione), in una situazione consueta (cfr. qui per esempio Inc. A 36 e Inc. B 3), o a Firenze (luogo della stampa, secondo altri), dove una scelta decorativa di questo tipo riuscirebbe meno congrua; non è possibile però escludere anche che il volume sia stato arricchito del programma a pennello fuori sia dal Veneto che dalla Toscana; in questo caso, la zona emiliana è la più probabile a essere chiamata in causa, sia per moduli formali sia – pur non sapendo nulla della storia del volume – se ne si considera l’attuale luogo di conservazione.


INC. E 8

Ugo di Strasburgo, Compendium theologicae veritatis, Venezia, [Boneto Locatelli], ed. Ottaviano Scoto, 10 aprile 1490


V (Veritatis) – c. 2r

L’unica iniziale miniata (ma la tecnica è più simile in effetti, al disegno acquerellato) presente nel volume, eseguita da mano assai valida, e che segue come vedremo illustri prototipi, compatta nella sua struttura visiva il corpo dell’incipitaria a foglia d’oro in un riquadro che mostra un putto alato, inserito in un contesto classicheggiante, che gioca con un animale, forse un cane: la sezione figurata è eseguita con un disegno a chiaroscuro, tratteggiato con fini colpi azzurri di pennello.
È del tutto evidente che la decorazione segue da vicino le grandi personalità attive nella decorazione libraria veneziana, che si svilupparono tra settimo e ottavo decennio del secolo XV esercitando la loro arte sia su volumi ancora manoscritti sia su pezzi confezionati grazie al nuovo medium, già assai apprezzato, della stampa, che proprio in laguna ebbe subito un successo straordinario, grazie a protagonisti provenienti quasi tutti dall’Europa del nord. In particolare, la mano presente nel libro della Biblioteca Panizzi si apparenta dal punto di vista tipologico, e da quello delle scelte formali (non toccando, però, le stesse vette qualitative), al cosiddetto “Maestro dei Putti”, attivo in prima persona dalla fine degli anni ’60 del XV secolo sino a circa il 1474-1475, almeno per quanto ci è sinora noto grazie alle indagini di chi si è occupato di questo validissimo decoratore (cfr. soprattutto Armstrong 1981; e, per un aggiornamento bibliografico, Miniatura a Padova 1999, pp. 291-303, Mariani Canova, Saffiotti, Bevilacqua, D’Urso), ma la cui impronta durò in modo assai stabile per un periodo ben più ampio; a un seguace del maestro, che operò sul volume nello stesso tratto di tempo esplicitato dall’indicazione di stampa, credo vada senz’altro riferita la lettera miniata di c. 2r.


INC. E 29

Marsilio Ficino, De christiana religione, [Firenze, Nicolò di Lorenzo, fra il 10 novembre e il 10 dicembre 1476]


E (Eterna) – c. 3r

L’unica iniziale a pennello presente nel volume segue, a livelli esecutivi standard, una tipologia del tutto frequente in tutta Italia, sia nella decorazione dei manoscritti che in quella dei libri a stampa. Non è quindi possibile precisare una collocazione geografica o cronologica per il lavoro del miniatore, che terrà dunque come unico punto fermo (attendibile solo sino a un certo punto, come avviene sempre nell’arricchimento decorativo degli incunaboli) l’indicazione Firenze 1476 che si deduce per il pezzo dal suo esame tipografico.


INC. E 65

Antonino, santo, Confessionale “Defecerunt scrutantes scrutinio”; Titulus de restitutionibus, [Roma, in casa di Francesco Cinquini, 1477 ca.]


Stemma cardinalizio dell’abate di San Paolo nel bas-de-page di c. 5r

L’unica sezione a pennello del volume presenta, nella sua stesura impacciata e unicamente orientata a definire una connotazione araldica, un valore esclusivamente limitato al contesto di documentazione della storia del pezzo.


INC. F 57

Leonardo da Udine (Leonardo Mattei), Sermones de sanctis, Vicenza, Stephan Koblinger, 1480


D (Divinorum) – c. 2r

Stemma entro corona laurea – c. 2r

L’unica, scadente, iniziale decorata del volume segue tipologie che genericamente si possono definire norditaliane di origine ferrarese, che non è assurdo legare a un’area esecutiva coincidente con quella riportata dall’indicazione di stampa, e alle medesime date; l’aggiunta araldica nel bas-de-page della stessa carta, mostra invece una mano ancora più debole, e indica senz’altro una ridefinizione successiva, comunque entro il XVI secolo.


INC. F 60

1.
Bonaventura da Bagnorea, Opuscula, Brescia, Bernardino Misinta, ed. Angelo Britannico, 17 dicembre 1495

2.
Ottaviano de Martini, Oratio in vitam et merita S. Bonaventurae, Brescia, Bernardino Misinta, ed. Angelo Britannico, 31 dicembre 1497


F (Flecto) – sezione 2 – c. 187r

P (Primo) – sezione 1 – c. 6r

Bas-de-page, cartiglio rosa-blu con scritta in oro “AU PLAISIR DE DIEU” – sezione 1 – c. 6r

Il volume ingloba due pezzi librari originariamente divisi (stampati tra l’altro in anni diversi); la decorazione, identica nelle due sezioni, è da riferire senz’altro alla medesima mano; il decoratore intervenne forse nel momento in cui i libri furono acquisiti dallo stesso compratore, o invece possiamo immaginarlo attivo in modo continuativo per l’officina libraria da cui furono stampati: questa seconda ipotesi appare meno probabile.
Infatti, la debolezza stilistica ed esecutiva, pur evidente, non può però impedire di notare una situazione inconsueta, e cioè l’impiego di modi decorativi palesemente francesi, o almeno francesizzanti, nella struttura delle lettere come nell’impostazione cromatica; il motto riportato dal cartiglio, in francese, potrebbe allora orientare verso un primo possessore appartenente all’area d’oltralpe: per un oggetto che però – a quanto pare almeno dalle indicazioni di possesso presenti – legherà in seguito la sua vicenda conservativa in modo continuativo all’area italiana.


INC. G 7

Angelo da Chivasso, Summa angelica de casibus conscientiae, Venezia, Giorgio Arrivabene, 4 giugno 1492


A (Abbas) con fregio a motivo vegetale – c. 9r

L’evidente debolezza esecutiva (e materiale), combinata all’impiego di una struttura decorativa che non segue tipologie stilistiche in qualche modo storicizzabili o almeno identificabili, rende impossibile (ma anche in qualche modo superfluo) precisare qualcosa, sulla cronologia e sull’origine geografica della decorazione, che non sia quanto si può ipotizzare dai dati ricavabili dall’esame tipografico.


INC. G 10

Giovanni Battista Trovamala, Summa casuum conscientiae. [Con:] Sisto IV, papa, Bulla “Etsi dominici gregis”, Venezia, Giorgio Arrivabene, 9 settembre 1495


A (Abbas) – c. 17r

R (Rosella) – c. 17r

La decorazione del volume, eseguita senz’altro nel medesimo periodo di tempo che si legge nell’indicazione di stampa, appare di buon livello esecutivo, con esclusione del cartiglio di c. 1r, opera di mano assai più debole, e tarda.
La tipologia impiegata è quella di origine rinascimentale ferrarese, ma (anche da altri volumi della Biblioteca Panizzi) la sappiamo diffusa poi in tutta l’Italia, specie al nord, e può quindi inserirsi comodamente anche nell’area geografica veneta (cfr. qui, per esempio, Inc. A 36 e Inc. B 3); le due iniziali, collocate nella stessa facciata e inquadrate da un fregio a fusto oro–blu e motivi vegetali lungo il margine interno e ghirigori a inchiostro con fiori lungo la metà dei margini superiore e inferiore, appaiono più libere, specie la A, che include una sorta di enorme vaso per fiori: ormai già orientate verso ornati che godranno grande fortuna nel periodo cinquecentesco.


INC. G 44

Gregorio I, papa, Dialogorum liber secundus de vita et miraculis S. Benedicti, Venezia, Bernardino Benali, 17 febbraio 1490


F (Fuit) – c. 2r

L’unica letterina decorata presente nel volume mostra una tipologia del tutto comune, eseguita a livelli qualitativi non eccelsi, che può essere attribuita, non certo per peculiarità formali ma solo per analoga struttura del lettering, alla mano attiva anche nel libro gemello, attuale Inc. G 45, lasciando ipotizzare si tratti o di un decoratore interno alla stamperia del Benali (per ultimare quella produzione standard, che sappiamo dalle fonti essere predisposta per accontentare i desideri della clientela media, cui si aggiungeva un programma decorativo base), o di chi aggiunse un modesto programma a pennello ai due tomi dopo il loro acquisto da parte di un medesimo compratore; quest’ultimo potrebbe essere identificato nel “don Ambrogio” residente nel Monastero di San Giovanni Evangelista a Parma, grazie all’ex libris che ne assicura il suo possesso (in un tratto di tempo, però, non definibile con certezza però dalla grafia).
Esulano dal presente repertorio, ma è opportuno comunque almeno siano segnalate, alcune sezioni illustrate separate dal testo: si tratta di cinque xilografie con scene della vita di San Benedetto (c. 1v, Consegna della regola; c. 3r, San Benedetto legge in una grotta; c. 11v, Costruzione di un convento; c. 21r, Il Santo ammansisce un animale feroce; c. 27r, San Benedetto e Totila), che bene esemplificano quello specifico interesse all’elaborazione, in chiave sia decorativa che documentaria, di programmi iconografici, che si riscontra in tutta la produzione di questa stamperia.


INC. G 45

Benedetto da Norcia, Regula, Venezia, Bernardino Benali, 21 gennaio 1489


A (Ausculta) – c. 5r

Il volume reca un’unica, modesta iniziale a pennello, che può essere riferita al medesimo decoratore attivo nel gemello Inc. G 44.


Mss. Regg. C 400

Statuta magnifice communitatis Regii, Rhegij Lingobardiae, propriis sumptibus Simon Bombasius mandavit, Vincentius Berthochus impressit, 11 sep. 1501

Il volume, uno dei più importanti della Biblioteca Panizzi, costituisce uno dei manufatti librari simbolo della raccolta, e contiene gli statuti della città di Reggio nella versione ridefinita nel passaggio tra XV e XVI secolo; sempre catalogato tra i manoscritti, mantiene dunque ancora oggi la segnatura storica, pur se a stampa.
Di copie del testo ne furono commissionate due, gemelle: l’altra è conservata all’Archivio di Stato di Reggio (Campanini 1997, pp. 19-23, 235-263; Vasina 1998, p. 220-226, A. Campanini).
La decorazione del volume, che si concentra sulla prima pagina principale di testo (c. Ir, preceduta da 12 cc. non numerate), si mantiene su stilemi derivati dalla grande stagione della miniatura estense della seconda metà del Quattrocento, nella linea dei grandi volumi della corte, quali la Bibbia di Borso, e dei cicli liturgici per le grandi sedi ferraresi, e delle città dominate dagli Este; in particolare, la versione qui più richiamata è quella che si ispira a Giorgio d’Alemagna e al figlio Martino da Modena, evidentemente ancora in voga in zona reggiana al debutto del XVI secolo. Non è peraltro improbabile che questa persistenza, rispetto alle nuove tendenze emiliane del tempo, sia dovuta anche al contesto ufficiale e istituzionale del lavoro, con un’attitudine cosciente o meno alla continuità.

torna all'inizio del contenuto