storia della biblioteca

Alcuni approfondimenti per conoscere la storia delle origini della Biblioteca Panizzi, di come si è costituito il suo patrimonio, delle figure che ne hanno determinato l’evoluzione e del palazzo – palazzo San Giorgio – che la accoglie.

storia della biblioteca panizzi

Reggio Emilia viene riconosciuta nel 2009 “Città del libro” dal premio nazionale dell’Associazione Forum del libro. Questo importante riconoscimento, che premia la città e attraverso di essa anche i suoi servizi bibliotecari, ha una storia molto antica.

Siamo nel 1796, e la discesa di Napoleone in Italia determina un totale rivolgimento politico nei territori della pianura padana. Il 25 agosto la città di Reggio Emilia si ribella al duca Ercole III d’Este e il Senato cittadino proclama la nascita della “Repubblica Reggiana”, che poco dopo confluirà nella Repubblica Cispadana e poi nella Cisalpina.

Una delle prime istituzioni volute dai cittadini reggiani è proprio una biblioteca civica, che nasce nell’ottobre 1796 con il nome di “Libreria Nazionale”. La nuova biblioteca è ospitata in Palazzo San Giorgio, già Collegio dei Gesuiti, e il suo patrimonio librario è costituito dai volumi doppi delle biblioteche ducale e universitaria di Modena e dai patrimoni delle biblioteche degli ordini religiosi soppressi. Il 31 gennaio 1798 la biblioteca è aperta al pubblico e dal 1802 l’incarico di bibliotecario è assunto dall’abate Gaetano Fantuzzi che, per il grande impegno nell’acquisizione e nel riordino del patrimonio librario, può essere considerato il vero fondatore della biblioteca civica reggiana.


Regolamento per la biblioteca nazionale, 1798

Durante la Restaurazione (1815-1859) la biblioteca è molto ridimensionata, oltre ad essere trasferita presso le canoniche della Cattedrale. Bisognerà attendere la partenza definitiva dei duchi d’Austria-Este per assistere al ritorno della biblioteca nell’antica sede di Palazzo San Giorgio e alla sua riapertura, il 4 maggio 1864, sotto il nome di Biblioteca Municipale, sotto la guida del letterato Prospero Viani. Nei primi decenni della sua storia, la biblioteca ha già acquisito fondi importanti, come quelli di Lazzaro Spallanzani (1799-1810), Giuseppe Turri (1879), Nicomede Bianchi (1883) e Gaetano Chierici (1888).

Sarà Virginio Mazzelli, direttore dal 1902 al 1931, a darle una veste aggiornata ai tempi, con adeguati spazi per le collezioni e le sale di lettura, e con inventari e cataloghi del patrimonio librario manoscritto e a stampa che rispecchiano fedelmente la ricchezza delle raccolte.

La Biblioteca Municipale si rivolge a un ristretto pubblico di docenti, studiosi e allievi del locale liceo. Per venire incontro alla nascente domanda di lettura da parte della componente operaia, femminile e professionale della popolazione, la nuova amministrazione comunale socialista decide di creare nel 1910 la Biblioteca Civica Popolare, di cui è presidente Camillo Prampolini e direttore lo stesso Mazzelli. Si tratta di un’esperienza molto vivace, che vede lo svolgersi di attività estensive molto frequentate, quali concerti, conferenze e proiezioni cinematografiche.


Virginio Mazzelli, direttore dal 1902 al 1931

Ex Libris della Biblioteca popolare

Il ventennio fascista (1922-1943) riduce l’attività della Biblioteca popolare, mentre alla municipale la direzione passa, dopo la morte di Mazzelli, al giurista Ugo Gualazzini (1933-1948).

Nella seconda metà del Novecento, grazie al clima di rinnovamento portato dalla Liberazione e dalla ricostruzione post bellica, si comincia a parlare di unificazione delle due biblioteche cittadine, la cui separazione è vista come uno spreco di risorse e una mancata risposta alle nuove esigenze di istruzione e formazione della cittadinanza.

Il D.P.R. n. 3/1972, che dispone il trasferimento alle Regioni delle funzioni statali in materia di assistenza scolastica, di musei e di biblioteche di enti locali, e la nuova politica culturale del sindaco Renzo Bonazzi (1962-1976), pongono le basi per l’unificazione nel 1975 della Biblioteca Municipale e della Civica Popolare in un’unica istituzione, intitolata ad Antonio Panizzi, patriota e bibliotecario. I servizi sono strutturati in tre sezioni: Pubblica Lettura, Conservazione e Storia Locale, Ragazzi.

Tutto questo segna l’inizio di una nuova stagione nella vita della biblioteca, che si avvicina sempre più alle esigenze dei cittadini costituendo sul territorio comunale le biblioteche di quartiere, o decentrate.

Fin dal 1972 era sorta la Biblioteca Rosta Nuova, cui si aggiungono quella di Ospizio (1975), San Pellegrino (1989), Santa Croce (2003) e lo Spazio Culturale Orologio (2014).

Dopo l’unificazione, la Biblioteca Panizzi, sotto la direzione di Maurizio Festanti (1976-2010) e Giordano Gasparini (2010-2021), si propone come una delle più avanzate e innovative realtà bibliotecarie italiane. La biblioteca aveva introdotto fin dal 1983 l’informatizzazione del servizio di prestito e tuttora continua ad integrare servizi analogici e digitali, promozione della lettura e valorizzazione dei fondi storici e speciali, accoglienza agli studiosi e spazi per ogni altra categoria di utenti.

 

il patrimonio

La Biblioteca Panizzi è una biblioteca civica, che dal 1975 offre un aggiornato servizio di documentazione, informazione e promozione della lettura, articolato nella Sezione Moderna della sede centrale di via Farini e nelle cinque biblioteche decentrate.
La Biblioteca è anche caratterizzata – nella Sezione Conservazione e Storia locale della sede centrale – da un insieme cospicuo e importante di fondi storici e speciali. Uno dei principi guida che ha ispirato la costituzione e l’incremento di tali raccolte è la pari dignità attribuita a ogni tipologia documentaria. Grazie a ciò, non si è mai costituita una gerarchia fra i materiali, fossero essi manoscritti, opere a stampa, prodotti della grafica, fotografie, archivi o altro. Accanto a questo criterio, sempre rispettato, si deve aggiungere una stretta e costante relazione biblioteca/comunità locale per l’accrescimento delle raccolte stesse.

Le collezioni manoscritte rappresentano uno dei principali elementi della memoria storica locale e la loro formazione coincide con la nascita della Biblioteca.
Fra il 1799 e il 1810, vengono acquistati dalla Municipalità i manoscritti dello scienziato Lazzaro Spallanzani (1729-1799). Un ulteriore incremento delle collezioni giunge nel sec. XIX, quando sono acquisiti, fra l’altro, 31 corali provenienti dalle chiese reggiane, molti dei quali con miniature dei sec. XV-XVI.
Vi sono poi i lasciti di studiosi e collezionisti locali, come il legato di Giuseppe Turri (1802-1879), con circa 2000 manoscritti, fra cui l’unico testimone noto del trattato De re publica del ferrarese Tito Livio Frulovisi (prima metà del sec. XV). Seguirono poi, nel 1883, la raccolta di autografi del senatore Nicomede Bianchi (1818-1886), uno dei primi storici del Risorgimento; nel 1888, l’archivio del paletnologo don Gaetano Chierici (1819-1886), pioniere dell’archeologia preistorica italiana. Nel 1921 fu acquistato il fondo del fisico e storico della scienza Giovanni Battista Venturi (1746-1822), che conserva al proprio interno il codice De prospectiva pingendi (sec. XV) di Piero della Francesca e numerose copie dai manoscritti autografi di Leonardo da Vinci.


Autografo di Lazzaro Spallanzani

Tito Livio Frulovisi, De re publica, iniziale figurata C


Piero della Francesca, De prospectiva pingendi

Copia da Leonardo da Vinci, Fondo Venturi, sec. XVII

Altro codice importante è la trecentesca Vita di Matilde di Canossa del monaco Donizone, con disegni a penna che si rifanno all’archetipo oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Codici miniati del sec. XV sono la Bibbia Arlotti, con fregi e iniziali decorate a bianchi girali, e l’Antiquarium del carmelitano Michele Fabrizio Ferrarini, ricchissima raccolta di epigrafi latine e greche.
Fra le acquisizioni più recenti, abbiamo archivi moderni e contemporanei come, per esempio, quelli dell’artista e scrittore Giovanni Costetti (1874-1949), dell’uomo politico Meuccio Ruini (1877-1970), del musicista Alberto Franchetti (1860-1942), con autografi di Gabriele D’Annunzio, di Giannino Degani (1900-1977), con autografi di Silvio D’Arzo, del presidente della Camera Nilde Iotti (1920-1999), del poeta Corrado Costa (1929-1991), dello scrittore, pittore e sceneggiatore Cesare Zavattini (1902-1989), l’Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa, con sede distaccata, e altri.

 


Cesare Zavattini, sceneggiatura dattiloscritta
del film Il tetto, 1955-1956

Corrado Costa, Conchigliette, ’89 (n. 2/1)

 

Le opere a stampa sono rappresentate da 455 incunaboli (edizioni del sec. XV), 6369 cinquecentine (edizioni del sec. XVI) e decine di migliaia di volumi antichi (stampati fino all’anno 1830) e moderni, che testimoniano le provenienze più diverse: biblioteche religiose, come quella del Convento di S. Spirito dei Frati Minori Osservanti, e private, come quelle di Spallanzani, dello studioso di economia aziendale Giovanni Rossi, del diplomatico Alberto Pansa, di Camillo Prampolini e dello storico della filosofia e anglista Mario Manlio Rossi. Accanto a queste, abbiamo le raccolte speciali Aldina, Ariostesca e Boiardesca, la Collezione “Raffaella e Elio Monducci”, con edizioni rare e di pregio e letteratura cavalleresca, la Sezione di Storia locale, nata ai primi del Novecento dalla collezione del poeta Francesco Cassoli, e la Sezione Periodici, che alle testate correnti affianca tutti i giornali cittadini dal 1836 in poi, fra cui “L’Italia centrale” e “La Giustizia”.

Nel Gabinetto delle Stampe è conservato il patrimonio grafico della Biblioteca: incisioni, disegni, carte geografiche, libri figurati d’autore e libri d’artista.
Esso nasce e prende il nome dall’acquisizione di oltre 40.000 incisioni antiche e moderne, italiane e straniere, donate dagli eredi dello studioso reggiano Angelo Davoli (1898-1973), cui si affiancano le 3000 stampe e le 600 carte geografiche della Raccolta Venturi, più altri 4500 disegni e incisioni appartenenti ad altri fondi. Inoltre, grazie alle donazioni dei reggiani Alberto Manfredi, Anna Cantoni, Filippo Albertoni, Anna Cingi, Gino Gandini, Rina Ferri, ecc., e a quelle di artisti non reggiani di chiara fama, tra cui Mario Avati e Filippo Biasion, il Gabinetto delle Stampe conta oltre 1800 fogli relativi alla grafica contemporanea.
Nuclei grafici di particolare interesse sono i 2800 fogli di arte naif e irregolare donati da Dino Menozzi e il deposito di oltre 700 carte geografiche a stampa relative al Ducato di Modena e Reggio e all’Alta Italia, dal Cinquecento alla fine dell’Ottocento, del collezionista reggiano Roberto Sanfelici. Esiste anche un fondo di grafica a destinazione popolare, tra cui manifesti, abbecedari, calendari figurati, pop-up, oltre ai 3400 fogli di soldatini di carta della Raccolta Moratti.


Raccolta Davoli . Durer, Il commercio di amore

Raccolta Monducci . I più celebri dipinti
della Galleria di Dresda La Notte del Correggio


Raccolta Sanfelici, ducato di Mantova

Raccolta Menozzi, Theodor Gordon

 

La Fototeca conta infine più di un milione di immagini tra dagherrotipi, carte salate, albumine, negativi in vetro, positivi, album, cartoline e diapositive: un patrimonio che documenta in particolare la storia delle tecniche fotografiche e la realtà storica reggiana dalla metà dell’Ottocento ai giorni nostri.
Tra i fondi più significativi figurano gli archivi dei principali protagonisti della fotografia reggiana, come Amanzio Fiorini, Roberto Sevardi, Mario e Renzo Vaiani, Stanislao Farri, Luigi Ghirri, Vasco Ascolini e gli archivi fotografici di enti pubblici e associazioni.
Diversi sono gli archivi delle famiglie reggiane che documentano la storia quotidiana vista attraverso l’occhio dell’amatore; tra i più significativi ricordiamo la famiglia di Alessio Alessi, Angelo Motti, la famiglia Secchi Tamburini e dell’ambasciatore Alberto Pansa.
La fotografia contemporanea è documentata anche attraverso le acquisizioni legate alle iniziative espositive di Fotografia europea.

 


Roberto Sevardi, Casa Bongiovanni Piazza Battisti, 1910

Collezione Fotografia Europea
Bernard Plossu Bus Marseille 1991 

antonio panizzi

La Biblioteca municipale reggiana dal 1975 è intitolata all’illustre patriota e bibliotecario Antonio Panizzi (Brescello 1797 – Londra 1879). Ma chi era Panizzi? E per che cosa merita ancora oggi di essere ricordato?

Antonio Panizzi nasce il 16 settembre 1797 a Brescello (Reggio Emilia), da una famiglia di farmacisti e notabili della cittadina della Bassa reggiana e consegue la laurea in legge a Parma nel 1818. Il giovane è di idee liberali, si affilia alla Carboneria e contribuisce alla diffusione di questa società segreta nel suo paese natale. Pochi giorni dopo le severe condanne comminate dal Tribunale di Rubiera l’11 ottobre 1822, che costeranno la vita al giovane sacerdote don Giuseppe Andreoli, il Nostro decide di prendere la via dell’esilio, che inizialmente lo porterà in Svizzera. È di questo periodo la pubblicazione di un pamphlet dal titolo Dei processi e delle sentenze contra gli imputati di lesa maestà e di aderenza alle sette proscritte negli Stati di Modena, una dura requisitoria contro il governo del duca di Modena e Reggio, Francesco IV d’Austria-Este. Anche il giovane brescellese subirà dal quel tribunale, il 6 ottobre 1823, la condanna a morte in contumacia e la confisca dei beni.


Ritratto di Antonio Panizzi, 1862 circa


Autografo di Panizzi, Napoli 17 giugno 1869

Nel maggio del 1823 Panizzi sbarca in Inghilterra. Londra gli offre l’accoglienza di Ugo Foscolo, Luigi Porro Lambertenghi e altri, ma è a Liverpool che egli inizialmente si trasferisce come insegnante privato di italiano. Grazie all’intraprendenza e al carattere aperto, Panizzi si inserisce rapidamente negli ambienti culturali e politici più qualificati e l’amicizia con il noto avvocato Henry Brougham gli vale nel 1828 il ritorno a Londra per ricoprire la cattedra di italiano presso l’University College. Tra le opere da lui curate in tale veste, ricordiamo l’innovativa edizione in nove volumi, pubblicati a Londra fra il 1830 e il 1834, dell’Orlando innamorato e dell’Orlando furioso. In seguito Panizzi, amico dell’influente bibliofilo Thomas Grenville, è assunto nel 1831 presso il British Museum, in qualità di assistente bibliotecario aggiunto nella Sezione dei libri a stampa, di cui diverrà responsabile nel 1837.
Antonio Panizzi si impegna con energia nel suo nuovo incarico, compilando il nuovo catalogo per autori della biblioteca del British Museum (British Library), redatto secondo le 91 regole di catalogazione da lui stesso formulate e che rimarranno per decenni un modello insuperato per la moderna biblioteconomia.
L’ideale a cui Panizzi si ispira è quello di una moderna biblioteca pubblica, aperta all’intera cittadinanza e senza discriminazioni. Secondo le sue stesse parole, bisogna fare sì “che uno studente povero possa avere le stesse possibilità di soddisfare i propri interessi di studio.. dell’uomo più ricco del Regno”. Panizzi si sforza così di migliorare il servizio al pubblico della biblioteca e non tralascia di utilizzare tutta l’influenza, che a poco a poco si sta conquistando presso gli ambienti politici e diplomatici inglesi, per sostenere la causa dell’Italia, la sua patria d’origine che non dimenticherà mai, nemmeno dopo avere ottenuto, nel 1832, la cittadinanza inglese.
Nel 1856 è nominato direttore del British Museum e nel 1857 ne inaugura la nuova Reading Room. Con uno sguardo costante alle vicende italiane, nel 1844 denuncia l’illegittima censura postale cui era sottoposto Giuseppe Mazzini, esule a Londra, e nel 1855 si adopera, senza successo, per la liberazione di Settembrini, Poerio e Spaventa dalle carceri borboniche. Dal 1849, in stretto contatto con Cavour, Panizzi diviene il principale agente diplomatico piemontese in Inghilterra. Nel 1868, due anni dopo aver lasciato il British Museum, riceve la nomina a senatore del Regno d’Italia e l’anno seguente il titolo di cavaliere, per la prima volta concesso dalla regina Vittoria a uno straniero. Muore a Londra l’8 aprile 1879.
Nella sua lunga vita, Panizzi seppe conciliare le migliori caratteristiche dello spirito italiano e di quello inglese. Come patriota, mai si risparmiò per sostenere la causa che riteneva più propizia al suo paese. Come funzionario del British Museum interpretò nel miglior modo possibile la figura del bibliotecario dedito esclusivamente al servizio del pubblico.
L’importante ruolo politico e culturale giocato da Panizzi fu anche il risultato della sua grande autorevolezza. Adottando la lingua – fatto eccezionale per un esule italiano – e la cittadinanza inglese, il Nostro, come è stato scritto, “si addestrò a vivere una nuova vita e a fare dell’esilio un espatrio”. Egli, infatti, divenendo da italiano un inglesizzato, piuttosto che un inglese, poté avere udienza presso la diplomazia britannica e agire efficacemente in favore della causa italiana. Di carattere schietto, Panizzi non nascose mai le divergenze che lo separavano da chi sfruttava la condizione di esule per suscitare pietà e commiserazione e, appoggiando con passione il grande moto risorgimentale, seppe comunque mantenere un’autonomia critica verso il nascente Regno d’Italia.

palazzo san giorgio


La Biblioteca Panizzi è ospitata in Palazzo San Giorgio, già Collegio dei Gesuiti, edificato dall’Ordine tra il 1701 e il 1720 di fronte alla chiesa omonima. All’angolo fra le laterali via Malta e via Guido da Castello è ancora visibile la pietra angolare con la data “1701” in numeri romani.


Palazzo San Giorgio, pietra_fondazione, 1701

Il progetto del palazzo è attribuito al gesuita Gian Paolo Scaratti e all’architetto bolognese Giuseppe Torri. L’elegante loggia del lato Sud, adibita a foresteria – che ospita attualmente l’Emeroteca –, fu progettata nel 1717 dal reggiano Giovan Maria Ferraroni, detto il Briga. Il palazzo voluto dai Gesuiti ha impianto razionale, semplice e sobrio. Gli spazi erano studiati per i tre momenti fondamentali dell’attività del collegio: insegnamento (con le scuole situate al piano terreno), preghiera e vita comunitaria (con le due sale delle Congregazioni degli Scolari e degli Artisti al primo piano), e vita privata (con le celle, le camerate e gli spazi di servizio al secondo piano). Il palazzo è raccolto intorno a un cortile di 19 metri circa di larghezza per 38 di lunghezza, con ingresso principale sull’attuale via Farini e lato maggiore in direzione est-ovest (l’attuale via Malta). Nasce così quello che fino ad oggi rimane il centro della vita culturale della città. Nel 1773, con la soppressione della Compagnia di Gesù, il palazzo viene occupato dai Canonici Regolari del SS. Salvatore e nel 1783 il duca Ercole III d’Este dona il palazzo alla Comunità, che vi colloca il proprio archivio e quello delle Opere pie, l’amministrazione di queste ultime e la Congregazione generale di Acque e Strade. Nel 1796, all’alba dell’età napoleonica e con la nascita della Repubblica Reggiana, trovano sede nel palazzo il Liceo, i gabinetti di Fisica e Chimica, il Museo Spallanzani e la nuova biblioteca pubblica, detta “Libreria Nazionale”, collocata al piano superiore del palazzo. Dopo la Restaurazione (1815), i Gesuiti sono richiamati a Reggio Emilia e ripristinano a Palazzo San Giorgio le attività del collegio, dove furono educati in questi anni reggiani illustri, come i futuri gesuiti Angelo Secchi, astronomo, e il cugino Giampietro Secchi, archeologo. Nel 1859, con la definitiva fine del dominio estense e l’allontanamento dei Gesuiti, il Comune decide di destinare il palazzo al Liceo Ginnasio e alla Biblioteca Municipale, cui nel 1887 si aggiunge l’Archivio generale provinciale, dal 1892 Archivio di Stato.


Facciata di Palazzo San Giorgio, 1918

Progressivamente, la biblioteca, dal 1975 intitolata ad Antonio Panizzi (1797-1879), viene ad occupare l’intero Palazzo San Giorgio, che dal 1984 è sottoposto a una lunga campagna di restauro e recupero degli spazi. I locali del sotterraneo – sino alla metà del Novecento collegati alla chiesa di San Giorgio da un passaggio che attraversava la sede stradale – sono destinati a deposito librario della Sezione Conservazione e Storia locale, con scaffalature metalliche compatte. Il concetto che ha guidato la distribuzione degli spazi dell’odierna Biblioteca Panizzi è quello di una progressiva specializzazione, man mano che si sale ai piani superiori.

In tal modo, al piano terra si trovano i servizi di accoglienza, orientamento e distribuzione, la Sala mostre, la Sezione ragazzi, l’Emeroteca e i materiali di fruizione generalista (narrativa e documenti in DVD), al primo piano la saggistica della Sezione moderna, con la Sala di Lettura e Consultazione e la Sala degli Artisti, mentre al secondo piano la Sezione Conservazione e Storia locale. Al primo piano, sulla parete Est della Sala di Lettura e Consultazione si osserva il frammento di lunetta con San Giorgio e il drago (sec. XV), probabile reperto della precedente chiesa di San Giorgio, ricostruita dai Gesuiti a partire dal 1638. Dalla finestra si può osservare il fastigio del portale maggiore dell’attuale chiesa di San Giorgio, con l’omologo altorilievo secentesco. Nel 2004 sulla volta della sala è stata realizzata l’opera dell’artista statunitense Sol LeWitt (1928-2007), il wall drawing Whirls and Twirls 1 (Vortici e Mulinelli 1).


Durante la realizzazione del wall drawing, 2004

L’adiacente Sala degli Artisti è uno spazio modulare, dove si possono consultare e prendere in prestito i volumi della Classe 700 (Arti) ed assistere a conferenze e presentazioni di libri. Al secondo piano, si trova la nuova sede della Sezione Conservazione e Storia locale, inaugurata nel 2009. L’accesso è consentito dalla nuova scala collocata nell’angolo Nord-Est del palazzo, dove un tempo esisteva uno scalone poi demolito, di cui rimane l’affresco della volta, con putti alati recanti il cartiglio “Ambulate in lumine ignis vestri” (Isaia 50,11). La Sala cataloghi e distribuzione presenta alle pareti iscrizioni e sculture a ricordo di benefattori della Biblioteca. La successiva Sala del Planisfero è arredata con le antiche scaffalature lignee realizzate nell’Ottocento per la Biblioteca Municipale. All’estremità Ovest del salone è collocata la biblioteca di Mario Manlio Rossi (1895-1971), studioso di storia e filosofia inglese, mentre al lato opposto si trova il planisfero che dà il nome alla sala, stampato a Parma alla metà del sec. XIX. Nel salone gemello di minori dimensioni (lato Ovest) sono state ripristinate le scaffalature settecentesche realizzate per l’apertura della prima biblioteca pubblica reggiana (1797). In fondo al salone, sulla sommità dell’antica scala restaurata nell’angolo Sud-Ovest, si trova il dipinto murale della Glorificazione del SS. Nome di Gesù, con i santi Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, tempera assegnabile a tardi epigoni del pittore reggiano Prospero Zanichelli (1698-1772).


Palazzo San Giorgio, scala angolo SO, Glorificazione

Palazzo San Giorgio, scala angolo NE, affresco

 

 

 

torna all'inizio del contenuto