una gara scarpazzonesca

È una sorta di Festa dell’Unità ante litteram quella che vede protagonista una tipica specialità gastronomica reggiana: l’erbazzone, o, italianizzando alla meglio il termine dialettale, lo scarpazzone, che in questo curioso manifesto del 1905 è fatto oggetto di una “nobile gara culinaria” tra le cooperative reggiane di San Maurizio, di Ospizio e di Cavazzoli.

Con questo proclama dai toni goliardici la “grande gara scarpazzonesca” è indetta per domenica 23 aprile da Augusto Curtini, amministratore socialista che per l’occasione veste i regali panni di “Augusto I° di Guascogna discendente dal ramo cadetto dei principi Spazzapiatti”, per decidere in quale delle tre cooperative in lizza si cucini la migliore “torta erbacea designata sotto il nome di scarpazzone – erbaceum et ricotaceum scarpazzonum“.

L’esito della gara sarà deciso da una commissione composta da “una balda schiera di uomini risoluti” che prenderanno le mosse dal caffè Roma di Via Farini alle ore 15 precise per recarsi “in pio pellegrinaggio” a San Maurizio alle 15,30, all’Ospizio alle 16,30 e a Cavazzoli alle 18 per degustare le “virtù dei singoli prodotti” appena sfornati e per pronunciare l’inappellabile giudizio.

In realtà la giuria è aperta a tutti, anzi, come avverte il singolare bando, “a tutti coloro che presenteranno domanda al comitato, accompagnata da certificato medico che comprovi la regolarità delle loro funzioni corporali”. La gara è infatti solo un divertente pretesto per una festa popolare a sfondo politico. In una nota manoscritta, il giornalista socialista e storico della cooperazione Manlio Bonaccioli, che ha conservato tra i suoi “Regiensia” questo rarissimo documento, avverte infatti che “si trattava di una delle solite gite gastronomiche (che servivano anche a richiamare gente alle cooperative) promosse dalla Camera del Lavoro”.
 
In chiave politica dunque l’erbazzone, il prodotto forse più caratteristico della cucina povera delle nostre campagne, assurge quasi a simbolo di una mensa proletaria idealmente contrapposta alla convivialità borghese, ben rappresentata all’epoca dalla “Società del Pito”. La Società era sorta nel 1885 e raccoglieva i notabili reggiani più in vista con l’intento di promuovere, con identico spirito goliardico, nei retropalchi del Teatro Municipale banchetti e conviti nei quali a svolgere il ruolo di vittime sacrificali erano appunto chiamati i più blasonati tacchini.

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