l’invenzione della macchina per scrivere

Tra le pagine manoscritte della genealogia della nobile famiglia reggiana dei Turri è stato inserito dallo stesso compilatore, il cronista Prospero Fantuzzi, un documento di eccezionale interesse: una lettera “battuta a macchina” e databile al 1809, cioè trent’anni prima che l’inventore novarese Giuseppe Ravizza iniziasse a costruire quel “cembalo scrivano” che sarà brevettato nel 1855 e che è considerato il primo prototipo di macchina per scrivere. Dietro questa curiosa lettera c’è una storia che merita di essere raccontata.

A scrivere la lettera è la contessa Carolina Fantoni di Fivizzano, nipote di Giovanni Fantoni, il celebre poeta giacobino noto come Labindo. Nata nel 1781, la contessa a causa di una grave malattia già nel fiore degli anni perdette la vista e per questo era costretta, per poter scrivere lettere ad amici e conoscenti, a ricorrere a intermediari per la dettatura. Per cercare di garantire alla sorella un maggiore grado di autonomia, il fratello Agostino ideò uno strumento che le consentisse di comporre un testo scritto.

Alla messa a punto di questo dispositivo, che la stessa contessa definisce “stamperia”, ma di cui si ignorano le caratteristiche, contribuì in modo decisivo un amico di Agostino Fantoni, Pellegrino Turri, originario della Garfagnana, ma residente a Reggio Emilia, al quale appunto Carolina indirizza la lettera. Nel delineare la sua biografia, Fantuzzi ne ricorda l'”abilità industriosa, ed erudita nella meccanica”, tanto da meritare che la Società d’Arti Meccaniche lo ascrivesse tra i propri soci. Tra le sue più riuscite produzioni viene ricordata una serratura “di così impossibile aprimento che non si può effettuare senza la scienza di una certa parola” e soprattutto “le tavolette a ponzoni e caratteri” realizzata per l’amica contessa.

Nel 1841, alla morte di Carolina Fantoni, i figli in segno di riconoscenza vollero donare la “macchina per scrivere” a Giuseppe Turri, figlio di Pellegrino, che si renderà benemerito con il dono alla città di Reggio Emilia delle sue ricchissime raccolte librarie e documentarie. Purtroppo di quello strumento si sono perse le tracce e a documentare l’innovativa impresa non resta che questa lettera, assieme ad alcune altre analoghe conservate nel fondo Turri dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia.

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