ottant’anni di semafori
“O Ugolin che Filippo ti nomi, ingegner di gran voglia ben sei, per te scrivere fia d’uopo più tomi, tanto tu con tua scienza ci bei, poiché fosti inventore d’un don, tutt’in pro dell’onesto pedon”: con questi versi il poeta Trilussa nel 1934 rendeva omaggio all’ingegnere Filippo Ugolini, vice comandante dei Vigili del Fuoco di Roma, che aveva messo a punto un prototipo, finalmente funzionante, di semaforo.
L’invenzione di quel dispositivo luminoso per disciplinare il traffico risaliva a vent’anni prima. La data di nascita ufficiale è infatti considerata quella del 5 agosto 1914 quando, dopo diversi tentativi sperimentati sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, viene installato a Cleveland, all’incrocio tra la East 105th Street e la Euclid Avenue, il primo semaforo ad illuminazione elettrica, inizialmente a sole due luci e azionato manualmente. Ben presto la nuova invenzione varcherà l’oceano per approdare in Europa.
Nel 1922 è adottata da Parigi, mentre in Italia il primo semaforo sarà installato a Milano nell’aprile del 1925.
Nel frattempo il dispositivo era stato perfezionato con l’aggiunta della terza luce gialla: in precedenza i maggiori inconvenienti derivavano da un passaggio dal verde al rosso troppo brusco, tale da provocare numerosi tamponamenti che nemmeno l’introduzione di un segnale acustico era riuscita a scongiurare.
A Reggio Emilia è con questo manifesto, conservato nella raccolta degli avvisi municipali della Biblioteca Panizzi, che ottant’anni fa il podestà Adelmo Borettini annunciava che i primi cinque semafori sarebbero entrati in funzione a partire dal 1 febbraio 1935. A quell’epoca nel territorio provinciale circolavano meno di 5.000 veicoli, di cui circa 2.000 automobili, tuttavia gli incidenti erano all’ordine del giorno. Già nell’agosto dell’anno precedente il quotidiano locale, “Il Solco Fascista”, richiamava l’assoluta necessità di imporre una disciplina stradale che fronteggiasse il “vero e proprio flagello” del “numero talvolta impressionante delle sciagure automobilistiche e motociclistiche”, come stavano a dimostrare gli otto incidenti mortali succedutisi in tre mesi nel solo piazzale di Porta San Pietro, il più trafficato della città.
Si decise pertanto in un primo tempo di far presidiare da vigili i due incroci più pericolosi, poi di introdurre appunto i primi cinque semafori, la cui installazione richiamò folle di curiosi, non tutti entusiasti della novità. Da parte sua “Il Solco fascista” salutava nel semaforo un simbolo di progresso che poneva la nostra città al pari dei più importanti capoluoghi di provincia e, contro tutti i “parrucconi” buoni solo a criticare, dichiarava che “il moto è vita, e la potenza di vita è in rapporto del ritmo di marcia”. Non solo: di questo progresso “non basterà lodarsi, bisognerà esserne degni”. Non tutti però si dimostreranno all’altezza: lo stesso giornale pubblicherà, 20 giorni dopo, i nominativi di 69 pedoni che sono stati “molto a proposito” multati dai vigili urbani perchè “riottosi” ad adeguarsi alle nuove norme di circolazione.