nel segno di manfredi

“Cominciai nel 1952, o forse prima, ad incidere. Non ricordo bene. Ricordo bene però che dopo un anno ne sapevo meno di quanto ne sappia dopo un mese un qualsiasi allievo d’Accademia di Belle Arti. È che nei paraggi non c’era nessuno che sapesse fare un’incisione e potesse darmi una mano. L’ostinazione mi sorreggeva. Consultai manuali e seguii con scrupolo le ricette. Almeno sin dove era possibile, perché c’era sempre qualche ingrediente introvabile. Infatti la vernice che mi preparai nacque dura ed inservibile e tale rimase per sempre. Ripiegai sulla puntasecca: incisa sul cartone, di quello duro rosso-mattone che serve a far cartelle, perché il torchio che mi ero fatto fabbricare aveva in antipatia lo zinco; stritolava le lastre, ma i segni sul foglio rimanevano costantemente vuoti. Il cartone andava più d’accordo con il torchio, però dopo due o tre prove al massimo lievitava come un panino al forno e bisognava buttarlo. Un lontano cugino mi forniva l’inchiostro tipografico al posto di quello calcografico, riempiendomene ogni tanto una scatoletta di pastiglie Valda. Insomma, una pena. Poi a poco a poco, man mano che prendevo confidenza, qualche risultato lo ottenni.
Tanto che cominciai a mostrare le stampe a Pallucchini, ogni volta che andavo alle lezioni dell’università […] (Alberto Manfredi)

Ballerina d’avanspettacolo
Acquaforte, 1954

Vidi i primi disegni di Manfredi verso il 1949. Era ancora studente di Lettere a Bologna, col Pallucchini, e veniva a Milano per vedere quel che vi si svolgeva, accompagnandosi con un altro giovane pittore reggiano, l’Albertoni […] Portavano una cartella sotto il braccio, tenuta ferma da un elastico. Ne uscivano fogli di carta qualunque, su cui avevano tracciato i loro disegni. Quelli di Manfredi avevano già quel filo secco, tracciato quasi da una punta di metallo. Vi apparivano corpi nudi, di una nudità trionfale eppure livida per non so che indigenza […] Un giorno mi disse che avrebbe visto volentieri Parigi, ma che non sapeva come andarci. Gli consigliai di fare attenzione alle borse di studio […] Seppi più tardi che aveva vinto e si preparava a partire […] Dovette lasciare Parigi prima della scadenza. Ricordo che insistetti perché restasse. Ma lo vidi a Milano con la sua vecchia cartella di cartone, più magro e allucinato di quando partì. I disegni che ne tirò fuori erano diventati più sciolti. Le figure non apparivano dentro un ambiente: i caffè dei tavoli di marmo, le vetrine col nome a lettere di porcellana, le stanze povere col letto di ferro, i piccoli palcoscenici di periferia, le ballerine in fila con piume gualcite di struzzo nei capelli, le alte cosce nude. Veniva fuori da quei fogli un racconto secco, impietoso come un brano di cronaca, dove si conosceva la miseria di quelle apparizioni teatrali nel lampo impoverito delle sciupate paillettes […] (Marco Valsecchi, 1963)


Tour Eiffel
Puntasecca, 1966

[…] Manfredi diventa Manfredi quando si spoglia di pur apprezzabili malizie, bravure, insistenze atmosferiche, sottolineature stilizzanti, esornazioni, ombreggiature inessenziali e tessuti incrociati che furono bagagli dell’apprendista. Anche nel disegno Manfredi liquida le belle parole e le frasi tornite. Attrezzerie che conosceva bene e non servivano all’esclusiva e semplice tensione del suo carattere che spiazza appena la realtà nella favola, illusione senza illusionismo, dando al segno sapore di improvvisazione e di freschezza […] (Luigi Cavallo)


Ritratto di Kafka
Acquaforte, 1966

Alberto Manfredi è uno dei rari pittori delle nuove generazioni che sappiano disegnare e anche nella sua pittura il disegno ha una funzione determinante e ne resta il protagonista […] (Mino Maccari)


La suonatrice di flauto (Il cappello a cilindro)
Puntasecca, 1974

[…] Verso il 1968 il segno di Manfredi si semplifica, tende a portare le figure come in crescite verso l’alto, oppure a far contrappunti con macchia e segno come di cammei, di emblemi […] il taglio stesso delle composizioni, ravvicinato, non più recitante in un teatro di paesaggio, ma nel perimetro bianco della carta […] tutta la sua antropologia si sposta verso una visione più tesa, emblematica e caratteristica, anche somaticamente: ancelle e zie di ieri che occupavano divani e prati del plein air, fanno la testa grossa, i loro sguardi assumono la tipica malinconia manfrediana […] (Marcello Venturoli)


Mino Maccari
Acquaforte, 1989

Il culto che Manfredi ha nei riguardi di Maccari s’appartiene più a una visione della vita, a un modo di vedere e sentire le cose che al modo di disegnarle, di restituirle su una lastra di rame o su una sfoglia di linoleum. Sono dei libertini: ma di un “libertinage”‘” che primamente implica il pensare liberamente e una capacità d’ironia, di autoironia, di satira, di leggerezza nelle cose anche gravi e grevi […] (Leonardo Sciascia)



Coppia nella stanza
Acquaforte, 1991

[…] Tutti sappiamo che artista è Manfredi, con che vetriolo dolcissimo il suo segno sa pungere e rodere e mordere. Abbiamo mille volte visitato la galleria inesauribile e sempre nuova delle sue donne: mondane difficili, educande tentate, adultere malinconiche […] conosciamo al tatto il freddoloso agrume delle loro carni spogliate, il desiderio sazio, il disinganno ironico che s’indovina nel battito delle loro ciglia troppo lunghe. Tutto ciò ha un suo luogo e privilegio riconosciuto nell’arte del nostro Novecento. Quello che non si sa abbastanza è su quale intelligente e permaloso gusto di lettore si sia affilato e inasprito quel segno; quale cliente incorreggibile dei paradisi letterari si nasconda dietro l’incisore e il pittore […] (Gesualdo Bufalino)


Tre figure nello studio
Acquaforte, 1995

[…] Gli interni delle donnine di Manfredi sono ambienti che paiono avere parentele abbastanza consistenti con gli artisti della Neue Sachlichkeit: sono impregnati di seduzione e miseria, eleganza e tristezza, bellezza e disfacimento. Della Neue Sachlichkeit Manfredi non ha accolto né il sarcasmo, né la condanna alla società borghese, con i suoi accoliti acconciati con teste di maiali e con divise guerresche, tali personaggi, anzi, in Manfredi non si presentano, sebbene esistano – è chiaro – ma quasi fossero dietro la porta […] (Paolo Bellini)


L’inglesina
Acquaforte, 1996

[…] Parlandone fra amatori dell’arte a stampa partirò proprio dai trucchi per concludere su Alberto Manfredi. Non ce ne sono, neanche uno. Egli fa tutto senza la rete. La sua unica arma è il disegno di grande qualità , nudo e crudo, determinante e personale, esile come le betulle in riva al fiume. Un graffiettino sulla lastra che par gracile e invece si rivela fortissimo, ingualcibile e indeformabile, regge la composizione come una longarina […] (Paolo Cesarini)


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