cinquecento
le antiche legature di pregio . il cinquecento
venezia
INC. E 3 | INC. G 15 | 13 C 389 | 15 I 517 | 16 D 140 | 17 B 112 | 17 D 494 | 17 I 702 | Ed. Ald. C 11 | Ed. Ald. E 8 | Ed. Ald. E 9 | Ed. Ald. E 11 | Ed. Ald. E 26 | Ed. Ald. E 33 | Ed. Ald. F 35
INC. E 3
Alfonso X, re di Castiglia e di León. Tabulae astronomicae, cur. Johann Lucilius Santritter, con aggiunte di Augustinus Kaesen-brot. [Con:] Johann Lucilius Santritter, Canones in tabulas Alphonsi. Venezia, Johann Hamman, 31 ottobre 1492. 4°.
Legatura su cartone alla quale sono stati applicati i piatti in cuoio di capra rosso decorato a secco e in oro. Cornici concentriche decorate con arabeschi e nodi complessi. Una rosetta esalobata negli angoli esterni e interni dello specchio. Cucitura su quattro nervi. Croce centrale raggiata entro una cartella circolare dai motivi fitomorfi affiancata da una coppia di fregi pieni di gusto aldino. Tracce di quattro lacci. Scompartimenti del dorso provvisti di una coppia di filetti incrociati. Tagli dorati e incisi. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Materiale di copertura scomparso lungo il dorso, in parte sul piatto posteriore. Apprezzabili spellature ai quadranti. Volume restaurato.
I fregi1 assegnano la legatura al primo quarto del secolo XVI eseguita a Venezia.
INC. G 15
Ludolph von Sachsen. Vita Christi. Brescia, Angelo e Giacomo Britannico, 30 ottobre 1495. 4°.

Legatura su cartone alla quale sono stati applicati i piatti di una coperta in cuoio bruno decorato a secco e in oro. Coppia di cornici dorate, esterna a filetto rettilineo, interna munita di archi in corrispondenza delle porzioni mediane. Negli angoli del riquadro esterno e interno, rispettivamente, una foglia di vite e un fregio fitomorfo cuoriforme. Cartella centrale munita di gemme e di tre stelle interne. Cucitura su tre nervi. Tagli spruzzati di rosso e di blu.. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura screpolato, scomparso lungo il dorso e in parte assente ai piatti. Diffuse bruniture. Volume restaurato.
Il genere di cartella1 propone di attribuire la legatura del genere aldino al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia2.
Accanto alla crescente fastosità delle legature dogali, si sviluppa e perdura per tutto il Cinquecento uno stile essenzialmente semplice ed equilibrato, compendiato nelle legature del genere aldino.
Le edizioni che uscirono a Venezia dall’officina tipografica di Aldo Manuzio sono chiamate aldine; tale denominazione fu tuttavia applicata impropriamente anche a legature dell’epoca, eseguite su edizioni non aldine di piccolo formato, caratterizzate da una decorazione tipica per la sua sobrietà, come quella impiegata per i libri di piccolo formato stampati da Aldo. Queste legature, eseguite generalmente in cuoio bruno con supporti di cartone, i nervi poco rilevati, presentano ai piatti una doppia cornice di filetti a secco e una singola dorata, con piccoli ferri a motivo vegetale (foglie d’edera, rosette) all’esterno e all’interno dei quattro angoli, e un semplice fregio al centro dei piatti stessi. Sul piatto anteriore sono impressi in oro, a lettere capitali, il nome dell’autore e il titolo dell’opera; in basso compaiono ora il nome del possessore ora la data d’esecuzione della legatura: elementi che talvolta figurano inseriti al centro del piatto, in un cerchio o in un piccolo cartiglio. E’ la grande semplicità, forse suggerita da un raffinatissimo Aldo Manuzio, a dare il tono a gran parte delle legature veneziane del primo ventennio del secolo XVI. La decorazione non potrebbe essere più sobria: cornici dritte di filetti a secco, una dorata, agli angoli una foglia piena, che per trovarsi in legature di edizioni aldine, ne prese il nome; oppure rosetta a sei lobi, sul piatto anteriore in alto, e il nome dell’autore impresso in lettere capitali. Questo semplice schema, in uso nei primi decenni del XVI secolo, si modifica in seguito per la sostituzione delle sobrie cornici dorate con una fascia decorata con motivi vegetali e arabeschi di gusto orientale; a partire dal 1530 circa compare l’impiego di una losanga o di un fregio a contorni mossi e variati. Il dorso presenta nervi rilevati, talvolta alternati a nervi piatti.
A dispetto del nome dato a queste legature, è accertato che Aldo Manuzio il vecchio non ebbe un suo proprio laboratorio di legatura adiacente alla tipografia di Campo San Paternian. Le edizioni a stampa provviste di legatura da lui stesso regalate hanno il carattere coerente alle contemporanee legature veneziane. La legatura cosiddetta aldina si afferma soltanto dopo la morte di Aldo (1515); la sua grande diffusione – dapprima negli ambienti universitari di Padova, Bologna, Ferrara, Pavia, Firenze e Roma, poi in tutta Europa, specie a Lione – è posteriore agli anni Venti del XVI secolo. Manuzio può certamente aver dato grande impulso all’elaborazione di questo nuovo stile, sviluppatosi lentamente nell’ambito di più botteghe veneziane, con la sua edizione di classici in-dodicesimo; tuttavia esso non gli appartiene pienamente, essendo il risultato di una elaborazione collettiva. Si dovrebbe pertanto parlare non già di legature aldine bensì di legature di tipo aldino, per indicare un genere e non una bottega. Le aldine, manufatti di buona qualità e di costo non eccessivo, rappresentavano l’alternativa al lusso delle legature orientaleggianti in uso a Venezia nella prima metà del Cinquecento.
La legatura aldina per la sua raffinata semplicità, non avrebbe potuto avere altra patria che Venezia: nel momento della sua massima diffusione tuttavia, nel Cinquecento già inoltrato, le sue forme puramente geometriche incominciano a non soddisfare più: si cercano nuove forme espressive. Le cornici rettangolari delimitate da filetti, tendono ad incurvarsi verso l’esterno (cfr. Aldine E 26) agli angoli e nelle porzione mediane dei lati; all’interno del campo. Verso il 1530, la decorazione si rende autonoma e tende ad essere accentrata dal centro del piatto, dal titolo dell’opera racchiuso ad esempio, entro un ovale. Una decina di anni dopo, prende il sopravvento nell’impostazione decorativa del piatto la targa a forma di losanga rettilinea che interseca la cornice.
13 C 389
Sedulius Scotus. In omnes epistolas Pauli collectaneum. Basileae, excudebat Henricus Petrus, mar. 1528. fol., [14], 110, [1] c.

Cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco. Fasci di filetti concentrici. Cornici munite di cordami, fogliami quadrilobati entro due coppie di foglie circinnate affrontate, volute fogliate. Cinque mazzi di fregi fitomorfi addossati nello specchio. Tracce di quattro coppie di lacci in tessuto blu. Dorso liscio rivestito da un lembo cartaceo. Tagli con tracce di colorazione in azzurro. Stato di conservazione: discreto. Spellature ai piatti. Angoli sbrecciati.
I fogliami quadrilobati entro due coppie di foglie1 che ricordano quelli presenti in manufatti latamente coevi prodotti nella Serenissima2 dall’Agnese binder3 (Bartolomeo di Giovanni di Fino [?]) attivo dal 1520 fino al 1545 circa, e le note tipografiche assegnano la legatura a secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia4. Materiale di copertura di buona qualità.
15 I 517
Rojas, Fernando de. Celestina tragicomedia di Calisto et Melibea. Vinegia, per Francesco di Alessandro Bindoni & Mapheo Pasini compagni, zug. 1531. 8° [119] c.; Trissino, Gian Giorgio. La Sophonisba li retratti epistola oracion al serenissimo principe di Vinegia. Venetia, per Ieronimo Pentio da Lecho a instantia di Nicolo Garanta, 29 mar. 1530. 8° 63, [1] c.; Epicuro, Marco Antonio. Cecaria. Venetia, per Vittor de Ravanni & compagni, 1533. 8°, [32] c.
![]() |
![]() |
Cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in oro. Fasci di filetti. Cornice caratterizzata da due filetti, intrecciati quelli interni. Rosetta esalobata negli angoli dello specchio. Nel quadrangolo sul piatto anteriore la scritta in caratteri capitali “CELE/STI(N)A CARCE/R./SOFONISBA/CECA/RIA”, “FR/ANC/SPINELL/I” su quello posteriore. Tracce di quattro coppie di lacci. Scompartimenti muniti di arabeschi. Cucitura su tre nervi alternati ad altrettanti apparenti. Tagli dorati e incisi. Stato di conservazione: discreto. Dorso rifatto. Bruniture ai piatti.
I filetti incrociati ai piatti1, le rosette2 e le note tipografiche assegnano la rara legatura al secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Venezia2. Caratteristici per le legature rinascimentali italiane, i nervi alternati a quelli apparenti3.
16 D 140
Cato, Marcus Porcius. Libri de re rustica a Nicolao Angelio recogniti & typis excusi. M. Catonis lib. I. M. Terentij Varronis lib. III [et alia]. Florentiae, per heredes Philippi Iuntae, 28 sep. 1521. 4°, [20], 218, 126 c.

Cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici collegati negli angoli. Cornice caratterizzata da arabeschi. Foglia piena cuoriforme di gusto aldino negli angoli dello specchio. Tracce di due coppie di lacci. Cucitura su tre nervi. Tagli blu spruzzati di rosso. Stato di conservazione: discreto. Materiale di copertura in fase di distacco al piede del dorso. Marginali spellature. Angoli ricurvi, parzialmente sbrecciati.
Diversi fregi1 e le note tipografiche propongono di ritenere la legatura propria della prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia.
17 B 112
Thucydides. De bello Peloponnensium Atheniensiumque libri octo Laurentio Vallen. interprete. [Paris], in aedibus Ascensianis, 3 id. iul. 1513. fol., CXXII, [4] c.

Cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in lega d’oro. Filetti concentrici bruniti. Cornice caratterizzata da arabeschi. Quarti d’angolo di foggia orientaleggiante nello specchio. Sei gemme centrali. Tracce di quattro coppie di lacci. Cucitura su tre nervi. Tagli colorati in blu, al piede iscrizione ms. di mano antica: “TVCYDIDI ATHENIENSIS HIST.”. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Materiale di copertura in parte assente in testa e al piede dei piatti, rivestiti da una pezza in tela violacea. Apprezzabili spellature al piatto posteriore. Bruniture ai quadranti. Angoli ricurvi e parzialmente scomparsi.
Alcuni fregi1 e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia. Materiale di copertura di buona qualità.
17 D 494
Petrarca, Francesco. Il Petrarcha con l’espositione d’Alessandro Vellutello. Venetia, per Gabriel Gioli di Ferrarij, 1543 (1544). 4°, [8], 197, [7] c. ill.

Il manufatto caratterizzato dalla cornice centrale interrotta da archetti nella porzione mediana1 e dalla cartella di foggia orientaleggiante2 notata in esemplari rinascimentali romani3 congiuntamente alle note tipografiche assegnano la legatura del genere aldino4 (cfr. Inc. G 15) al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia.
17 I 702
![]() |
![]() |
Ed. Ald. C 11

L’essenziale decoro del genere aldino (per la nozione, cfr. Inc. G 15), la rosetta1 e il nome dell’autore abbreviato (“Q[uintilianus]”) inducono ad attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia. Dorso rifatto come tra l’altro attesta la diversa tonalità della doratura dei filetti orizzontali applicata ad evidenziare i nervi.
Ed. Ald. E 8

Ed. Ald. E 9

Le foglie d’edera1, la cornice costituita da un filetto continuo interrotto da quattro archi nelle porzioni mediane (cfr. Ed. Ald. E 26, Inc. G 15) a testimoniare il superamento del modulo ornamentale iniziale caratterizzato dal riquadro rettilineo, e le note tipografiche inducono ad assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia.
Ed. Ald. E 11

L’impianto ornamentale e le note tipografiche consentono di assegnare la legatura del genere trade binding1 o editoriale al secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Venezia da Andrea di Lorenzo o Mendoza binder.
Artigiano attivo a Venezia dal 1520 al 1555 circa., lavorò per Diego Hurtado de Mendoza, ambasciatore spagnolo a Venezia dal 1539 al 1547, e per altri personaggi importanti come Benedetto Curzio, ambasciatore del duca di Milano Francesco II Sforza presso la Serenissima. Ilse Schunke si è riferita a lui connotandolo impropriamente come Wanderbuchbinder o legatore ambulante: pare avesse precedentemente esercitato la professione a Pavia e a Milano. Tenuto conto della sua attività a Venezia per Federico Torresani, sembra corretto denominare questo legatore, almeno nella sua attività iniziale, come Torresani binder. Le legature, eseguite con meticolosità, sono talora caratterizzate dalla presenza del titolo dell’opera, dal nome del possessore e dall’anno di esecuzione del lavoro. Il Mendoza binder è stato pure l’esecutore di una particolare decorazione a filetti paralleli, costituita da una serie di filetti dorati equidistanti, alternati a due filetti a secco, disposti verticalmente a colmare i piatti2, e da un medaglione centrale. Nelle legature di questo Maestro colpisce la modernità dello schema decorativo3.
Anthony Hobson ne ha scoperto l’identità (Andrea di Lorenzo) attraverso documenti d’archivio. Lo stesso autore ha presentato nel volume Renaissance book collecting un elenco di circa 370 esemplari, definendone le caratteristiche cui vanno aggiunte almeno dieci4 altre legature (esclusa quella presentata) quindi rinvenute. La maggior parte delle sue coperte si trovano in biblioteche pubbliche. Ricordiamo quelle più importanti per numero di esemplari: Biblioteca dell’Escorial (censiti 147), Nazionale di Monaco di Baviera (34), Nazionale di Francia, Parigi (26), Museo Correr di Venezia (23), Bodleian Library di Oxford (14), British Library di Londra (12), Pierpont Morgan Library di New York (9), Biblioteca Vaticana di Roma (8). Esemplare non incluso nella lista di 385 legature di questo genere redatta da Anthony Hobson. Questa Biblioteca custodisce un altro esemplare (cfr. Ed. Ald. F 35) editoriale riferibile a questo atelier. Usuale nelle legature italiane del tempo la Fortuna6.
Ed. Ald. E 26

L’impianto ornamentale (cfr. Ed. Ald. E 9, Inc. G 15) e le note tipografiche consentono di assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia. Caratteristici per i manufatti italiani del tempo, i nervi poco rilevati1.
Ed. Ald. E 33

Le foglie d’edera1, le gemme2 e le note tipografiche consentono di ascrivere la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Venezia. Materiale di copertura del dorso scolorito per la prolungata esposizione alla luce.
Ed. Ald. F 35

Per il commento cfr. Ed. Ald. E 11. Secondo le aspettative per questo genere di legatura, il titolo dell’opera in testa al piatto anteriore1.
veneto
INC. E 49 | 7 I 46 | 13 L 508 | 13 L 509 | 13 L 510 | 14 E 1 | 14 E 7 | 14 F 14 | 14 F 15 | 14 F 21 | 14 F 22 | 14 F 23 | 14 F 24 | 15 D 129 | 15 E 240-242 | 15 G 743/1-3 | 15 H 722 | 15 I 916 | 16 F 135-136 | 16 G 1344 | 16 H 536 | 16 I 476-477 | 17 A 128-131 | 17 A 171-174 | 17 C 258 | 17 E 157 | 17 E 162 | 17 G 190 | 17 G 352 | 17 G 376 | 17 H 471 | 17 I 700 | Mss. Regg. F 269 | Mss. Vari A 62 | Mss. Vari B 114 | Mss. Vari E 134 | Mss. Vari G 46 | Mss. Vari G 48 | Ed. Ald. C 20 | Ed. Ald. D 8 | Ed. Ald. D 34 | Ed. Ald. E 2 | Ed. Ald. E 19 | Ed. Ald. E 20 | Ed. Ald. G 44
INC. E 49
Bernardus Claraevallensis, santo. Sermones super Cantica canticorum. Brescia, Angelo Britannico, 28 gennaio 1500. 4°.
Legatura su assi alla quale sono stati applicati i piatti di una coperta in cuoio bruno decorato a secco. Cornice esterna caratterizzata da fregi fitomorfi entro coppie di delfini affrontati, interna da serpentine cordonate. Specchio provvisto di tre mazzi di losanghe dai margini concavi. Tracce di quattro fermagli con coppia di lacci di restauro in cuoio. Cucitura su tre nervi. Tagli rustici. Stato di conservazione: discreto – mediocre. Materiale di copertura originale scomparso lungo il dorso. Volume restaurato.
I fregi fitomorfi entro coppie di delfini affrontati e le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Elemento decorativo proprio del XV, XVI e, più raramente, XVII secolo, il delfino isolato è presente, specie nell’iconografia gotica e rinascimentale, quale simbolo di fedeltà e protezione, nonché simbolo di Cristo Salvatore. Questo motivo, che in Italia nel XVI secolo è spesso associato al simbolo della Fortuna, è presente anche in un certo numero di legature francesi del Cinquecento, rivolto verso destra o sinistra, con o senza corona. Compare inoltre in coppia affrontata nel XVI secolo, a disegnare quasi un anello aperto, con al centro un fregio fitomorfo. Questo fregio, adottato prevalentemente nella decorazione di cornici, è caratteristico del Veneto, ove fu impiegato tra il 1470 e il 1500 circa. L’impiego della cornice con i delfini non si limitò all’Italia nord-orientale: in forme poco differenti è attestata negli stessi anni a Firenze. Compare a Roma nel 1490 e a Milano verso il 1510-16 circa. Il motivo dei delfini affrontati, è di particolare interesse in quanto è il primo esempio di ferro italiano impresso con decorazione in oro su un volume francese, un poema manoscritto del 1507 dedicato da Fausto Anderlini a Luigi XII. Inusuali le versioni con delfini addossati. Sotto forma di spirale terminante con la testa di delfino, si trova nelle cornici di legature eseguite nel XVII secolo nella legatoria vaticana. Quale emblema del primogenito del re di Francia, il delfino compare talvolta coronato in insegne araldiche del Cinque- e Seicento. In quest’ultimo secolo, disposto in serie, il delfino si riduce a elemento ornamentale privo di significato araldico, in decorazioni francesi a seminato. Fregio noto anche in Spagna, esso fu pure utilizzato da uno sconosciuto legatore che eseguì diverse legature per Filippo II. Per innovative considerazioni cfr. http://www.cyclopaedia.org/dolphins-index/delfini-index.html.
7 I 46
![]() |
![]() |
I fregi1 e le note tipografiche propongono di assegnare la coperta al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Inusuale il decoro a colori lungo il dorso. Cuoio di buona qualità.
13 L 508
![]() |
![]() |
![]() |
I viticci1, i bracieri ardenti2 (per la nozione cfr. Ed. Ald. G 44) e le note tipografiche consentono di assegnare la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Caratteristici per il periodo, i supporti lignei smussati sui contropiatti e la cucitura su nervi alternati ad apparenti3. La scritta lungo i tagli attesta la collocazione del volume a piatto nella cesta o nella teca4.
13 L 509

Il decoro della cornice1 e le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura al secondo quarto del secolo XVI verosimilmente eseguita nel Veneto.
13 L 510
Vinegia, presso Egidio Regazzola, ad istantia di Giovanni Varisco & compagni (presso Giovanni Varisco, et compagni), 1573. 12°, 130, [2] p.

Le serpentine1, i fregi orientaleggianti 2 e le note tipografiche inducono ad attribuire la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto La fuoriuscita del blocco dalla coperta e l’incongruenza stilistica rispetto all’anno di stampa sembrano indicarne il riutilizzo.
14 E 1
Marchesini, Giovanni. Mamotrectus super Bibliam. Venetiis, opera Jacobi Pentij de Leuco, 7 mar. 1506. 8° 16, 320 c.

Banda di cuoio di capra marrone su assi lignee smussate sui contropiatti decorata a secco, fissata con tre chiodi metallici ai supporti. Tre rettangoli intervallati da bande orizzontali provviste di coppie di delfini addossati entro motivi fitomorfi. Un fermaglio costituito da una bindella in cuoio munita di tenone, collocata entro apposita sede nel piatto anteriore, assicurata con tre chiodi metallici a testa piatta e da una contrograffa tetralobata in ottone, munita di finestrella laterale di aggancio, di margine inciso e di tre fori ornamentali centrali, ancorata a quello posteriore tramite quattro chiodi pure in ottone. Dorso rivestito da un lembo cartaceo. Tagli rustici, al piede iscrizione ms. di mano antica: “MAMOTRECTVS”. Stato di conservazione: discreto. Marginale scomparsa del materiale di copertura ai piatti.
Le coppie di delfini1, notati meno frequentemente in versione addossata (compaiono solitamente affrontati) e le note tipografiche inducono ad assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI verosimilmente eseguita nel Veneto (cfr. Inc. E 49).
14 E 7
Dionysius Periegetes. De situ habitabilis orbis a Simone Lemnio Latinus factus. Venetiis, per Bartholomeum, cognomento Imperatorem: & Franciscum eius generum, 1543. 8° [40] c.
![]() |
![]() |
Cuoio di capra rosso su cartone decorato a secco e in oro. Fasci di filetti concentrici. Cornice costituita da un filetto. Fregi pieni accantonati esterni di gusto aldino. Al centro del piatto anteriore la scritta «ILL/PRIN HER/ESTEN II DV/CI FER IIII/DIONI SAC/ER», «A D/MDXXXX/III» su quello posteriore. Tracce di due coppie di lacci. Cucitura su tre nervi. Tagli dorati e incisi, muniti al piede della scritta inchiostrata di antica mano «Dyon:: Lybic de Situ Orbis». Stato di conservazione: discreto. Ampie gore brune ai piatti. Dorso rifatto.
L’impianto ornamentale (cfr. Ed. Ald. D 34), i motivi accantonati1, le note tipografiche e l’infrequente scritta sul piatto posteriore indicante la data di esecuzione assegnano la legatura al 1543, verosimilmente eseguita nel Veneto. La scritta2 lungo i tagli sembra attestare la collocazione a piatto nella cesta o nella teca.Volume di dedica a Ercole II d’Este (Ferrara, 4 aprile 1508 – Ferrara, 3 ottobre1559), come indica la dicitura sul piatto anteriore. Ercole, quarto duca di Ferrara, Modena e Reggio (1534-1559), era figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia. Attraverso sua madre, Ercole era nipote di papa Alessandro VI, nipote di Cesare Borgia, e cugino di San Francesco Borgia. Attraverso il padre, era nipote di Isabella d’Este, e del cardinale Ippolito d’Este. Tra i suoi fratelli vi sono Ippolito II, arcivescovo di Milano e poi cardinale, suora Leonora, e Francesco, marchese di Massalombarda. Tra i fratellastri vi sono Rodrigo Borgia di Aragona e forse Giovanni Borgia, l’infans Romanus.Per questioni di convenienza politica, nel mese di aprile del 1528 sposò Renata di Francia, la seconda figlia di Luigi XII re di Francia e di Anna di Bretagna. Le nozze si celebrarono a Parigi, nella Sainte – Chapelle, e Renata ricevette da Francesco I di Francia una significativa dote e ampie rendite. La prima figlia, Anna, nata nel 1531, che sposò Francesco,duca di Guisa, fu seguita da Alfonso nel 1533, da Lucrezia nel 1535, che sposò il duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere, e poi da Eleonora e Luigi.
Nel 1534 successe al padre divenendo duca nel mese di ottobre. Durante i primi anni si destreggiò bene tra le pressioni spagnole e francesi approfittando in particolare della relativa quiete dovuta la predominio spagnolo in quel periodo, sebbene molti suoi rapporti personali lo legassero maggiormente alla corte francese. Si trovò anche sotto le pressioni della curia papale che spingeva per il bando dalla sua corte di sospettati di eresia (anche Giovanni Calvino era stato a Ferrara nel 1536). In particolare, Renata, dopo alcune sue corrispondenze con protestanti, fu accusata di essersi convertita al protestantesimo, nonostante la presenza di un tribunale speciale della Inquisizione a Ferrara. Ercole presentò le accuse di eresia contro la moglie al re Enrico II di Francia e all’inquisitore Oriz nel 1554; successivamente lei confessò.
Ercole riuscì a risolvere anche un ulteriore dissidio con il papato derivate dalla riluttanza di Ercole nel concedere le riscossioni dei tributi per le lotte contro i turchi. Ciò irritò non poco Paolo III che fu quasi sul punto di scomunicarlo. Il rapporto non degenerò grazie all’accordo stipulato nel 1539 dal fratello di Ercole, Francesco, che comportò il versamento di 180.000 ducati d’oro alla curia.
Ercole si schierò con il papa Paolo IV e con Francia contro la Spagna nel 1556, ponendosi al comando della lega in funzione anti imperiale ma dopo l’interesse dei francesi verso Napoli, Ercole dismise l’accordo perché desiderava che Enrico II di Francia si occupasse di Milano. Tramite una mediazione di Cosimo de’ Medici, stipulò un accordo con gli spagnoli il 18 maggio che gli permise di mantenere integri i suoi domini.
La corte di Ferrara è nota perché divenne centro culturale importante, non solo per la diffusione della Riforma in Italia, tramite l’appoggio della moglie Renata, ma anche per il mecenatismo portato avanti insieme al fratello Ippolito II d’Este, che costruì la Villa d’Este vicino a Tivoli.
14 F 14
Orbellis, Nicolaus de. Super sententias [di J. Duns Scotus] compendium. Lugduni, impressioni datus studio et opera Francisci Fradin, 1503. 8°, [450] c.
Le anfore panciute sormontate da una coppia di rosette1 e le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
14 F 15
Saliceto, Nicola de. Liber meditationum, confessionum ac orationum devotarum. Venetijs, per Petrum de Quirenti, 29 mai. 1517. 8°, 159, [1] c.

Cuoio testa di moro su cartone decorato a secco. Filetti concentrici. Cornice esterna caratterizzata da foglie d’edera ripetute negli angoli interni dello specchio, interna da viticci. Tracce di due coppie di lacci. Dorso rivestito da un lembo cartaceo. Stato di conservazione: mediocre. Fiore parzialmente scomparso. Gore biancastre diffuse. Angoli ricurvi.
Le foglie d’edera1 e le note tipografiche inducono ad assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
14 F 21
Duns Scotus, Johannes. Scriptum super primo [-quarto] sententiarum. Lugduni, excusum in edibus Jacobi Myt, sumptu Jacobi q. Francisci de Giunta et socij, kal. apr. 1520. 8° 4 v. in 3.
Duns Scotus, Johannes. Disputationes collationales. Lugduni, excusum in edibus Jacobi Myt, sumptu Jacobi q. Francisci de Giunta et socii, kal. apr. 1520. 8° 64, [2] c.

Cuoio bruno su cartone decorato a secco. Filetti concentrici. Cornice caratterizzata da arabeschi. Due mazzi di ellissi incrociate nello specchio. Tracce di due coppie di lacci. Dorso rivestito da un lembo in cuoio. Tagli colorati in nero. Stato di conservazione: mediocre. Fiore scomparso. Angoli ricurvi e sbrecciati.
Gli arabeschi1, le ellissi incrociate2 e le note tipografiche propongono di assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto3.
14 F 22
Duns Scotus, Johannes. Scriptum super primo [-quarto] sententiarum. Lugduni, excusum in edibus Jacobi Myt, sumptu Jacobi q. Francisci de Giunta et socij, kal. apr. 1520. 8° 4 v. in 3.

Le foglie d’edera1, i nodi2 e le note tipografiche sembrano assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Le stelle a cinque bracci inscritte entro un cerchio dal margine cordonato non costituiscono un fregio tra i più utilizzati.
14 F 23
Duns Scotus, Johannes. Disputationes collationales. Lugduni, excusum in edibus Jacobi Myt, sumptu Jacobi q. Francisci de Giunta et socii, kal. apr. 1520. 8° 64, [2] c.
Le foglie d’edera, i nodi e le note tipografiche sembrano assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto (cfr. 14 F 22/1-2). Le rosette pentalobate inscritte entro un cerchio dal margine cordonato non costituiscono un fregio tra i più utilizzati.
14 F 24

Le foglie d’edera 1 (cfr. 14 F 22/1-2), i meandri2 e le note tipografiche sembrano assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
15 D 129
![]() |
![]() |
Il decoro della cornice esterna1 e le note tipografiche assegnano la legatura alla metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
15 E 240-242

La cornice a viticci1 e le note tipografiche suggeriscono di assegnare la serie di legature al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguite nel Veneto2.
15 G 743/1-3

Il decoro caratterizzato da bande verticali1 e le rosette tetralobate entro due coppie di foglie circinnate2 (cfr. 13 C 389) che ricordano quelle adottate dall’Agnese binder3 (Bartolomeo di Giovanni di Fino [?]) attivo dal 1520 fino al 1545 circa, inducono ad attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
15 H 722
Goffredo da Trani. Summa super titulis decretalium. Lugduni, impressa in edibus Joannis Moylin alias de Cambray, sumptibus Romani Morin, 2 iul. 1519. 8°, 250, [16] c.
![]() |
![]() |
Banda in cuoio di bazzana su assi lignee decorato a secco. Tre rettangoli caratterizzati da due filetti incrociati muniti di quattro nodi su base quadrata. Coppia di fermagli costituiti dai lacerti di due bindelle in cuoio su anima in pergamena, collocati entro apposita sede nel piatto anteriore, assicurati con tre chiodi metallici a testa piatta e da due contrograffe tetralobate in ottone munite di margine inciso e di tre fori ornamentali, ancorati a quello posteriore tramite quattro chiodi pure in ottone. Cucitura su due nervi in pelle allumata fendue. Capitelli in fili écrus su anima in pelle allumata arrotolata spezzata. Indorsatura realizzata tramite lembi in pergamena manoscritta. Tagli rustici. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura parzialmente scomparso lungo il dorso. Fiore in parte assente.
Il decoro1, la chiusura con aggancio sul piatto posteriore, le contrograffe tetralobate2 e le note tipografiche assegnano la legatura alla prima metà del secolo eseguita in Italia.
15 I 916
Herodianus. Historia dello imperio dopo Marco. Venegia, per Gregorio de Gregori, 24 apr. 1525. 8°, 115, [1] c.
Cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici. Fogliame trilobato negli angoli del riquadro dorato. Losanga centrale piena entro il margine a doppio filetto. Cucitura su due nervi. Tagli colorati in nero. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura parzialmente assente al piede del piatto anteriore. Cerniere indebolite. Angoli sbrecciati.
La losanga1 e le note tipografiche propongono di attribuire la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto2.
16 F 135-136
Cicero, Marcus Tullius. Orationum volumen primum [-tertium]. Florentiae, per haeredes Philippi Iuntae, feb. 1521. 8°, 3 v. [manca il v. 3°]
Cuoio bruno su cartone decorato a secco. Cornice ornata ad arabeschi. Fregio fitomorfo negli angoli interni dello specchio; al centro la Fortuna sostiene la vela con la mano destra (sinistra araldica) a cavallo del delfino. Tracce di quattro coppie di lacci. Cucitura su tre nervi. Capitelli in fili écrus e blu su anima in pelle allumata arrotolata. Tagli rustici; in testa le scritte inchiostrate rispettivamente: “Volumen primu(m) Cic. Orat.”; “Volumen 2 Cice. Oration(es)”. Stato di conservazione: mediocre. Cuoio stanco, parzialmente scomparso lungo la coperta.
Diversi fregi1 e le note tipografiche inducono a ritenere la legatura propria della prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Le scritte lungo il taglio di testa2 suggeriscono la conservazione dei volumi a piatto nella teca.
16 G 1344
Cicero, Marcus Tullius. Officiorum lib. III. Cato Maior, sive de senectute. Laelius, sive de amicitia [et alia]. Florentiae, in officina Philippi Iuntae, ian. 1517. 8°, [4], 159, [1] c.
![]() |
![]() |
Cuoio di bazzana marrone su assi lignee decorata a secco. Fasci di filetti incrociati. Cornice provvista di fregi fitomorfi entro delfini affrontati. Serie di cinque nodi su base quadrata disposti verticalmente. Tracce di due fermagli costituiti dai lacerti di due bindelle dall’anima in pergamena, assicurate al piatto anteriore tramite un chiodo in ottone caratterizzato dalla testa bombata e dalle impronte di altrettante contrograffe a trapezio fissate a quello posteriore con tre chiodi. Coppia di fasci di filetti incrociati negli scompartimenti. Cucitura su tre nervi in pelle allumata fendue. Indorsatura realizzata tramite lembi in corame. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura parzialmente scomparso in testa al dorso.
I fregi fitomorfi entro delfini affrontati1 (cfr. Inc. G 12) e le note tipografiche inducono a ritenere la legatura propria del primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
16 H 536
Vegetius Renatus, Flavius. De larte militare. Vinegia, per Bernardino di Vitale, gen. 1524. 8°, [100] c. Herodianus. Historia dello imperio dopo Marco. Venegia, per Gregorio de Gregori, 23 mar. 1524. 8°, 115, [1] c.

Cuoio di capra marrone su cartone decorato a secco e in lega d’oro. Filetti concentrici collegati negli angoli. Quarti d’angolo di foggia nello specchio. Cartella centrale costituita da quattro nodi su base quadrata affiancati. Tracce di quattro coppie di lacci in tessuto bruno. Cucitura su tre nervi. Stato di conservazione: discreto – buono. Marginali spellature. Angoli ricurvi.
I quarti d’angolo1, la cartella centrale2 e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. In evidenza la grana del cuoio connotata da placche con margini irregolari, caratteristiche della capra3.
16 I 476-477
Berosus. De antiquitate Italiae ac totius orbis cum F. Ioan. Annij commentatione. Lugduni, excudebat Bartholomaeus Frein (apud Ioannem Temporalem), 1554. 16°, 2 v.
![]() |
![]() |
Cuoio di bazzana bruna su cartone decorata a secco e in oro. Filetti concentrici. Foglia d’edera negli angoli esterni e interni del riquadro interiore. Al centro del piatto anteriore la scritta “BEROSI/ TOM PRIM (-TOM ALTER)”, un paio di fregi orientaleggianti addossati in quello posteriore Tracce di due coppie di lacci in tessuto verde. Capitelli in fili écrus e verdi su anima circolare. Cucitura su tre nervi in pelle allumata fendue. Rosetta esalobata dalle estremità in foggia di femore negli scompartimenti del dorso. Tagli dorati e incisi. Indorsatura realizzata tramite lembi cartacei rettangolari di recupero. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura parzialmente scomparso in testa e al piede. Cerniere significativamente indebolite. Angoli ricurvi e parzialmente sbrecciati.
I fregi orientaleggianti addossati1 e le note tipografiche inducono ad attribuire la coppia di legature al terzo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguite nel Veneto.
17 A 128-131
Cicero, Marcus Tullius. Opera. (Petri Victorii explicationes suarum in Ciceronem castigationum). Venetijs, in officina Lucaeantonij Iuntae, dec. 1534 – ian. 1537. fol., 4 v.

Cuoio di bazzana bruna su cartone decorata a secco. Fasci di filetti incrociati. Cornice caratterizzata da raffaellesche. Fregi a mensola e mandorla centrale nello specchio. Tracce di quattro coppie di lacci. Cucitura su tre nervi evidenziati da due fasci di filetti convergenti ai piatti. Tagli colorati in nero. Stato di conservazione: mediocre. Fiore scomparso. Angoli ricurvi.
Le raffaellesche1 (cfr. Inc. D 25), le mandorle2 e le note tipografiche assegnano la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
17 A 171-174
Vincentius Bellovacensis. Speculi maioris tomi quatuor Venetiis, apud Dominicum Nicolinum, 1591. fol., 4 v.

Cuoio di capra rosso su cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici collegati negli angoli. Fregi fitomorfi, stelline vuote a sei punte e cerchielli negli angoli, sostanzialmente ripetuti nell’ovale centrale. Tracce di due coppie di lacci in tessuto rosso slavato. Dorso rivestito da lembi in tela violacea. Cucitura su sette nervi. Tagli dorati, sul taglio di testa di ciascun vol. iscrizione ms. di antica mano: “Capu(cinorum) Mutinae”. Stato di conservazione. mediocre. Materiale di copertura marginalmente assente al piede del piatto anteriore. Apprezzabili spellature ai piatti, Cerniere indebolite. Angoli ricurvi.
L’impianto ornamentale costituito da un ovale campito su sfondo libero entro una più ampia composizione ovoidale dagli angoli ornati, pure adottato dall’ignoto legatore veneziano Oval-Meister1 attivo vero il 1580-1585, alcuni fregi2 e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura alla fine del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
17 C 258
Paolini, Fabio. Hebdomades, sive septem de septenario libri. Venetiis, apud Franciscum Franciscium, 1589. 4°, [44], 456 p.

Pergamena semifloscia decorata in oro. Cornice caratterizzata da ovali azzurrati alternati a coppie di frecce verticali. Un paio di fogliami azzurrati sormontati da corolla negli angoli interni dello specchio. Tracce di due coppie di lacci. Dorso liscio. Capitelli dall’anima passante in pelle allumata o in pergamena. Tagli dorati e incisi. Stato di conservazione: discreto. Bruniture ai piatti. Angoli ricurvi.
La cornice munita di ovali1, presente anche in legature cinquecentesche francesi2, inglesi3, tedesche4, e le note tipografiche suggeriscono di assegnare la legatura all’ultimo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Apparentemente non molto diffusi i fogliami azzurrati accantonati.
17 E 157
Petrarca, Francesco. Il Petrarca con l’espositione d’Alessandro Vellutello. Vinegia, per Giovanniantonio & fratelli da Sabbio, ago. 1525 (1528). 4°, [12], 201, [61] c. ill.

Legatura alla quale sono stati applicati i piatti di una coperta in cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in lega d’oro. Fasci di filetti concentrici. Cornice munita di arabeschi. Cartella centrale costituita da quattro nodi su base quadrata entro coppia di pendagli. Cucitura su tre nervi. Tagli colorati in nero. Stato di conservazione: mediocre. Volume restaurato.
I fregi1 e le note tipografiche assegnano la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
17 E 162
Lascaris, Constantinus. De octo partibus orationis lib. I. De constructione [et alia]. Venetiis, per Melchiorem Sessam & Petrum de Ravanis, 18 feb. 1521. 4°, [296] c.

Cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in oro. Fasci di filetti concentrici. Rosetta esalobata e un quarto di cerchio orientaleggiante negli angoli della cornice dorata. La Fortuna a cavallo di un delfino al centro entro le scritte in caratteri capitali “CONS LAS” e “D M V”. Tracce di quattro coppie di lacci in seta marrone. Testa e piede del dorso rivestiti da un lembo in cuoio marrone. Cucitura su tre nervi alternati a quattro apparenti tratteggiati. Tagli di colore blu slavato muniti della scritta inchiostrata indicanti gli estremi dell’opera. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Materiale di copertura originario parzialmente scomparso in testa e al piede. Supporti in vista al piede dei piatti. Cerniere indebolite. Angoli dei piatti ricurvi e in parte sbrecciati.
Il decoro, il taglio blu1 e le note tipografiche assegnano la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto2. Per la nozione di Fortuna3 cfr. Ed. Ald. E 11.
17 G 190
Spagnoli, Giovanni Battista. Ultima pars operis (Probae e Maronis carminibus excerptum opusculum). In Lugdunensi civitate, solertia Stephani de
Basignana, in officina Bernardi Lescuyer, 23 iun. 1516. 8°, [334] c.; Spagnoli, Giovanni Battista. Contra detractores dialogus (Epistola contra calumniatores). In Lugdunensi civitate, solertia Stephani de Basignana, in officina Bernardi Lescuyer, 21 iul. 1516. 8°, 2 v. in 1.
![]() |
![]() |
Cuoio di bazzana conciata in bianco su cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici collegati negli angoli. Foglia di foggia cuoriforme e quarto d’angolo di gusto orientaleggiante negli angoli interni dello specchio. Ghianda fogliata centrale. Tracce di quattro coppie di lacci in tessuto rosso cupo. Scompartimenti del dorso munito di filetti incrociati. Cucitura su tre nervi. Capitelli in fili écrus su anima circolare spezzata. Tagli colorati in blu e spruzzati di rosso. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura in parte assente in testa e al piede del dorso. Fiore diffusamente scomparso. Angoli ricurvi.
I fregi1 e le note tipografiche sembrano assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Inusuale per i manufatti coevi, l’adozione del pellame, qui bazzana2, conciato nella tonalità bianca, talora riservata ai manufatti prodotti per papi e per nobildonne.
17 G 352
Horatius Flaccus, Quintus.Horatius. Florentiae, impensa Philippi [Giunta] bibliopolae, 5 non. oct. 1503. 8°, [156] c.

Cuoio di capra marrone su cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici bruniti. Cornice caratterizzata da arabeschi. Foglia d’edera piena negli angoli interni dello specchio ripetuta congiuntamente a rosette piene esalobate lungo il margine del quadrangolo centrale pure munito di arabeschi di diversa foggia: in testa la scritta “Q./HORA/FLACCVS” al piede “IVN/IVVENALIS” sul piatto anteriore; in testa “AVL/PERS/FLA” e al piede “F S/MONVME(N)T/VM” su quello posteriore. Tracce di quattro lacci. Cucitura su tre nervi. Tagli dorati e incisi. Stato di conservazione: discreto. Materiale di copertura parzialmente scomparso lungo il dorso. Alcune bruniture. Volume restaurato.
Il decoro della cornice1 e il quadrangolo centrale2 consentono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
17 G 376
Vergilius Maro, Publius. Eclogae Vergilii. Francisci Pe. Calphurnii [et alii]. 1504. 8°, [160] c.

Cuoio di capra rosso su assi lignee smussate sui contropiatti in corrispondenza dei tagli decorato a secco e in oro. Fasci di filetti concentrici. Cornice caratterizzata da fregi fitomorfi. Coppia di filetti incrociati nello specchio ornato con quattro nodi su base quadrata e cinque rosette esalobate negli angoli e al centro. Coppia di fermagli costituiti dai lacerti di altrettante bindelle in cuoio assicurate al piatto anteriore tramite due chiodi metallici a testa piatta e da due contrograffe tetralobate in ottone con margine inciso caratterizzate dalla finestrella laterale di aggancio, ancorate a quello posteriore tramite tre chiodi pure in ottone. Dorso rivestito da un lembo cartaceo nero. Capitelli in fili écrus su anima circolare. Tagli rustici muniti al piede della scritta inchiostrata “Variorum Eclogae”. Stato di conservazione: mediocre. Parziale scomparsa del supporto al piatto anteriore; ampia brunitura a quello posteriore. Angoli sbrecciati.
La cornice1 (cfr. 17 E 157) le rosette2 e le note tipografiche inducono ad assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. La scritta inchiostrata lungo il taglio di piede3 propone la collocazione a piatto del volume della teca. Conformi ai manufatti italiani del periodo i supporti smussati sui contropiatti.
17 H 471
Latini, Brunetto. Il Tesoro. Vineggia, per Gioan Antonio & fratelli de Sabbio, ad instanza di Nicolo Garanta & Francesco da Salo & compagni, 20 mar. 1528. 8°, [8], 271, [1] c.

Cuoio di capra nero su cartone decorato a secco. Filetti concentrici collegati negli angoli. Cornice caratterizzata da arabeschi. Mandorla centrale di foggia orientaleggiante. Tracce di due coppie di lacci in tessuto. Cucitura su tre nervi. Tagli colorati in nero. Stato di conservazione: mediocre materiale di copertura parzialmente scomparso ai piatti, in testa e al piede del dorso. Angoli ricurvi e sbrecciati.
I fregi1 e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
17 I 700
Svetonius Tranquillus, Caius. De vita XII Caesarum. Lugduni, [Balthazar Gabiano], 3 oct. 1508. 8°, 176 c.
![]() |
![]() |
Cuoio di capra nero su cartone decorato a secco. Filetti concentrici collegati negli angoli. Cornice caratterizzata da arabeschi. Sei nodi su base quadrata disposti verticalmente nello specchio. Tracce di quattro coppie di lacci. Capitelli in fili écrus e verdi su anima circolare, in parte scomparso al piede. Cucitura su tre nervi in pelle allumata fendue. Indorsatura realizzata tramite lembi cartacei di recupero. Tagli rustici muniti della scritta inchiostrata “C. Suetonius”. Stato di conservazione: molto mediocre. Materiale di copertura interamente scomparso nella metà inferiore del dorso, in parte ai piatti. Fiore parzialmente presente. Angoli ricurvi e sbrecciati.
I fregi1 e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Lo stato non pristino consente se non altro, di osservare i supporti in cartone costituiti da fogli accorpati2 con sostanza adesiva.
Mss. Regg. F 269
Vita e miracoli di Santo Prospero Patrono di Reggio. 1583. Cart.; 170 x 120 mm; 53 c.
![]() |
![]() |
Cuoio di capra rosso su cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici. Cornice costituita da due filetti. Fogliame, ampia corolla e coppia di fregi orientaleggianti azzurrati negli angoli esterni e interni dello specchio. Ovale centrale munito di rosetta pentalobata entro losanga di filetti dal margine concavo, fregi orientaleggianti, corolle e ad ala di pipistrello azzurrati, stelline esalobate. Tracce di quattro lacci in tessuto rosso slavato. Scompartimenti del dorso muniti di filetti incrociati. Cucitura su tre nervi. Tagli con tracce di doratura. Stato di conservazione: discreto. Parziale assenza del materiale di copertura lungo il dorso. Restauro del 1962.
Alcuni fregi1 e le note manoscritte assegnano la legatura all’ultimo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Mss. Vari A 62
Boni, Mauro. Neografia veneta. Raccolta di antichi sigilli, medaglie e monete della città di Venezia. [1790-1814 ca.]. Cart.; misure varie; 84 c. sciolte; autogr.

Cuoio di capra marrone su cartone decorato a secco e in oro. Cucitura su quattro nervi. Ampio fregio mamelucco accantonato esterno e interno Cornice realizzata a rotella caratterizzata da coppie di personaggi a figura intera su di un piedistallo. Coppia di scudi al centro del piatto anteriore rispettivamente affiancati dai monogrammi “M. G.” e “M. S.”. Cucitura su quattro nervi evidenziati da una coppia di fasci di filetti convergenti. Tracce di quattro coppie di lacci in tessuto verde. Stato di conservazione: discreto. Marginali spellature. Bruniture ai piatti.
La cornice1 propria dei manufatti cinquecenteschi di area tedesca2, i fregi mamelucchi2 e fitomorfi3 e i filetti convergenti4 propongono di assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Blocco scollegato dalla coperta.
Mss. Vari B 114
Officium mortuorum, e altri brani liturgici. [1450-1455 ca.]. Membr. (cart. le c. I e II); 293 x 216 mm; c. I + 72 c. + c. II; grafia gotica corale a inchiostro bruno, impaginazione differenziata (ma testo sempre a piena pagina), indicazioni liturgiche a inchiostro rosso.

Legatura alla quale sono stati applicati i piatti di un manufatto in cuoio di capra nero su assi lignee decorato a secco e in lega d’oro ossidata. Cornici concentriche caratterizzate da meandri, ghiande fogliate e viticci. Coppia di gemme centrali addossate entro coppia di ghiande fogliate. Tracce di quattro coppie di lacci. Cucitura su sei nervi. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura scomparso lungo il dorso. Apprezzabili gore biancastre e spellature ai piatti. Volume restaurato.
Le ghiande fogliate1 e le gemme2 consigliano di attribuire la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Mss. Vari E 134
Ingetus Contardus. Disputatio facta cum iudaeis in Sinagogis Maiorice anno domini M.CC.LXXX.VI. [1301-1400 ca.]. Membr.; 214 x 165 mm; 80 c. n.n.

Legatura alla quale sono stati applicati i piatti di un manufatto in cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in oro. Cornice esterna caratterizzata da sei nodi su base quadrata, interna da arabeschi. Occhio di dado entro filetto obliquo negli angoli interni dello specchio. Mandorla centrale con coppia di pendagli in foggia di fregi mamelucchi. Due fermagli di restauro. Cucitura su tre nervi. Stato di conservazione: discreto. Volume restaurato nel 1937.
I ferri1 suggeriscono di assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Cuoio di buona qualità. La mezza mandorla2 impressa doppiamente addossata testimonia il probabile elevato costi dei ferri in quel tempo.
Mss. Vari G 46
Breviarium secundum consuetudinem Romanae Curie. [1401-1450 ca.] Membr. (cart. le c. I e II); 153 x 105 mm; c. I + 214 c. n.n. + c. II ; grafia gotica a inchiostro bruno, 30 righe di testo su due col., indicazioni liturgiche a inchiostro rosso, letterine incipitarie in inchiostro rosso o blu (una, a c. 66v, in oro)

Legatura alla quale sono stati applicati i lacerti dei piatti di un manufatto in cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in oro. Fasci di filetti concentrici. Occhi di dado singoli e circondati da serto di fogliami nella cornice esterna, arabeschi in quella interna. Quattro nodi su cartone disposti verticalmente nello specchio. Cucitura su tre nervi. Tagli dorati. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Materiale di copertura in parte scomparso ai piatti, totalmente lungo il dorso. Apprezzabili spellature.
I fregi1 consigliano di assegnare la legatura al primo (?) quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Mss. Vari G 48
Breviario completo secundum consuteudinem Romanae curiae. [1426-1450 ca.]. Membr. (cart. le c. I e II); 140 x 104 mm; c. I + 445 c. n.n. + c. II; grafia gotica a inchiostro bruno, 29 righe di testo su due col., tit., indicazioni liturgiche e altre sezioni testuali a inchiostro rosso, alcune letterine incipitarie a inchiostro blu

Legatura alla quale sono stati applicati i lacerti dei piatti di un manufatto in cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco. Fasci di filetti concentrici. Cornice caratterizzata da cordami. Due fermagli di restauro. Cucitura su tre nervi. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura in parte scomparso ai piatti, totalmente lungo il dorso. Apprezzabili spellature.
Il genere di cordame1 suggerisce di assegnare la legatura, apparentemente non primaria, al primo (?) quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Ed. Ald. C 20
Cicero, Marcus Tullius. Rhetoricorum ad C. Herennium lib. IIII. De inventione lib. II. De oratore ad Quintum fratrem lib. III [et alia]. Venetiis, in aedibus Aldi et Andreae soceri, mar. 1514. 4°, [6], 245, [3] c.

Legatura su cartone alla quale sono stati applicati i piatti di una coperta in cuoio marrone rossiccio decorato a secco. Ampio fregio orientaleggiante accantonato esterno. Cornice caratterizzata da arabeschi. Tre mandorle entro coppie di rosette disposte verticalmente. Tracce di quattro fermagli costituiti da altrettanti lacerti in cuoio su anima in pelle allumata dal colore rosso sul lato del pelo, assicurati al piatto anteriore tramite due chiodi metallici e da quattro contrograffe tetralobate in ottone, incise, munite di finestrella laterale di aggancio e di tre fori ornamentali, ancorate a quello posteriore tramite quattro chiodi pure in ottone. Cuciture su tre nervi. Tagli colorati in rosso. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Materiale di copertura scomparso lungo il dorso, in parte sul piatto anteriore. Fiore assente. Bruniture al quadrante anteriore. Volume restaurato.
I fregi1 e le note tipografiche inducono ad attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. L’impronta annerita sul quadrante anteriore2 ricorda le implicazioni dell’impegnativo decoro a secco. In linea con le usanze del periodo le contrograffe tetralobate3.

Cuoio di bazzana su cartone decorato a secco e in oro. Cornici caratterizzate da filetti bruniti, munite di rosette, fogliami a colpo di vento e palmette. Un motivo fitomorfo pieno negli angoli dello specchio. Fregio mamelucco centrale. Tracce di quattro lacci in seta verde. Cucitura su tre nervi. Tagli dorati e incisi. Stato di conservazione: mediocre. Parziale perdita di sostanza ai piatti e lungo il dorso. Diffuse spellature. Cerniere indebolite. Angoli ricurvi e sbrecciati.
Diversi fregi1 e le note tipografiche propongono di assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Ed. Ald. D 34
Sophocles. Tragaediae [sic] septem cum commentariis. Venetiis, in Aldi Romani academia, aug. 1502. 8°, [196] c.

Cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici. Foglia di edera negli angoli esterni del riquadro dorato. Tracce di quattro lacci in tessuto rosso slavato. Cucitura su tre nervi alternati a quattro apparenti tratteggiati. Tagli dorati. Stato di conservazione: discreto – buono. Angoli ricurvi.
L’essenziale impianto ornamentale e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI verosimilmente eseguita nel Veneto.
In evidenza il dorso caratterizzato da tre nervi alternati a quattro apparenti tratteggiati1, destinati a fornire l’impressione di un dorso lavorato. Esso costituisce un significativo indizio nell’individuazione della provenienza del manufatto: presente nelle legature rinascimentali italiane, compare talora in quelle coeve di area tedesca, generalmente assente in quelle transalpine del tempo. Cuoio di buona qualità.
Ed. Ald. E 2
Homerus. Ilias [v. 2: Ulyssea. Batrachomyomachia. Hymni XXXII]. Venetiis, in aedibus Aldi, et Andreae Asulani soceri, apr. 1524. 8°, 2v.

Legatura in cuoio di capra nero su cartone decorato a secco e in lega d’oro. Cornice munita di fregi a meandri. Rosetta tetralobata negli angoli. Fregio mamelucco centrale entro una coppia di nodi su base quadrata. Tracce di due lacci in tessuto verde. Cucitura su tre nervi. Tagli rustici. Stato di conservazione: discreto. Apprezzabili spellature sul piatto anteriore. Angoli ricurvi.
I fregi a meandri1, mamelucchi2 (cfr. Ed. Ald. D 8, Ed. Ald. E 8) e le note tipografiche inducono ad attribuire la legatura al secondo quarto del secolo XVI verosimilmente eseguita nel Veneto. In evidenza l’interruzione tra una singola impressione manuale e l’altra, caratteristica dei manufatti rinascimentali italiani3alora in quelle coeve di area tedesca, generalmente assente in quelle transalpine del tempo. Cuoio di buona qualità.
Ed. Ald. E 19
Dion Cassius. Nervae & Traiani, atq; Adriani Caesarum vitae ex Dione, Georgio Merula interprete [et alia]. Venetiis, in aedibus Aldi, et Andreae soceri, aug. 1519. 8°, [8], 422, [2] c.
![]() |
![]() |
Cuoio bruno su cartone decorato a secco e in oro. Rosetta negli angoli esterni del riquadro dorato. Ampio ovale centrale munito di una rosetta quadrilobata ripetuta negli scompartimenti del dorso, entro quattro corolle addossate e fogliami azzurrati. Tracce di due lacci in tessuto bruno. Cucitura su quattro nervi. Tagli dorati. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Materiale di copertura parzialmente assente in testa e al piede del dorso. Fiore parzialmente scomparso. Angoli ricurvi parzialmente sbrecciati.
L’ovale centrale riccamente ornato1 entro l’ampio sfondo libero, caratteristica che ricorda i lavori del legatore veneziano Oval-Meister2 attivo tra il 1580 e il 1585, autorizza ad attribuire la legatura all’ultimo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto.
Ed. Ald. E 20
Caius Iulius Caesar, Commentariorum de bello gallico libri VIII [et alia], Venetiis, in aedibus Aldi et Andreae soceri, 1518-1519. 8°, [16], 296 c. ill.

Cuoio marrone rossiccio su cartone decorato a secco e in oro. Cornice caratterizzata da fregi fitomorfi entro coppie di uccelli affrontati. Un fregio pieno di gusto aldino negli angoli interni dello specchio. Al centro la Fortuna cavalca il delfino entro stelle e una coppia di fregi fogliati cuoriformi. Tracce di quattro lacci in seta verde. Cucitura su tre nervi. Tagli colorati in blu e spruzzati di rosso. Stato di conservazione: discreto. Marginali spellature. Angoli ricurvi.
Alcuni ferri1 e le note tipografiche autorizzano ad assegnare la legatura (pubblicata2) al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. Infrequente il decoro della cornice3.
Ed. Ald. G 44
Sannazaro, Jacopo. De partu Virginis [et alia]. Petri Bembi Benacus. Augustini Beatiani Verona. Venetiis, in aedibus Aldi, et Andreae Asulani, aug. 1527. 8°, [8], 47, [1] c.

Legatura in cuoio di capra bruno su cartone decorato a secco. Cornice esterna caratterizzata da una testa di cherubino nelle porzioni mediane, interna da volute fogliate e ghiande. Palmetta negli angoli interni dello specchio entro una coppia di filetti arcuati. Braciere ardente centrale entro due coppie di rosette. Tracce di quattro lacci in tessuto bruno. Tagli rustici; al piede la scritta inchiostrata “de partu Viginis”. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Apprezzabili spellature e macchie bianche (vernice?) sul piatto posteriore Angoli ricurvi e sbrecciati.
Diversi fregi1-3 e le note tipografiche consentono di assegnare la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nel Veneto. L’iscrizione lungo il taglio4 documenta la consuetudine del tempo di collocare il volume a piatto nella teca.
italia
INC. B 45
Avicenna. Metaphysica [in latino], cur. Francesco da Macerata e Antonio Fracanzani. Venezia, Bernardino Vitali, ed. Girolamo Duranti, 26 marzo 1495. f°.
Banda di cuoio di capra bruno su assi lignee rifatte decorato a secco. Cornice caratterizzata da meandri. Quattro scompartimenti, ciascuno munito di quattro quadrangoli caratterizzati da una coppia di filetti incrociati e da otto rosette dalle estremità a femore. Cucitura su tre nervi. Tagli rustici, al piede iscrizione ms. di mano antica: “D. THOMAE IN METAPH.”. Stato di conservazione: discreto. Volume restaurato.
Il cuoio bruno, la cornice a meandri1, le rosette dalle estremità a femore2, consentono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale, forse a Bologna (?).
INC. D 22
Merula, Giorgio. De antiquitate Vicecomitum. [Milano, Alessandro Minuziano, c. dicembre 1499 – 1500]. Registrato anche come: [Guillaume Le Signerre] e come: [non prima del 1500]. f°.

Legatura su assi alla quale sono stati applicati i piatti di una coperta in cuoio testa di moro su assi lignee decorato a secco. Cornici caratterizzate da occhi di dado, serpentine cordonate fogliami quadrilobati, cordami, motivi in parte ripetuti nello specchio. Tracce di un paio di fermagli. Cucitura su tre nervi. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura scomparso lungo il dorso. Fiore in parte scomparso, specie sul piatto posteriore. Volume restaurato.
I fogliami quadrilobati1 e le note tipografiche sembrano assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale2.
INC. F 82/1-2
Francescani. Minorica elucidativa, cur. Nicolaus de Lovanio. Paris, [Etienne Jehannot], ed. Jean Petit, “22 marzo 1499” [c. 1502]. Registrato anche come: [Jean Poitevin] 8°; Cruz, Pedro de. Preclarissimum opus Antiminorica vocatum. Venetijs, per Simonem de Luere, nomine Jordani de Dinslaken, 25 jun. 1505. 8°.

Legatura su assi alla quale sono stati applicati i piatti di una coperta in cuoio marrone rossiccio decorato a secco. Cornice caratterizzata da cordami Specchio provvisto di una cartella circolare munita della scritta “yhs” entro due nodi su base quadrata. Tracce di quattro fermagli. Scompartimenti del dorso muniti di due filetti incrociati. Cucitura su due nervi. Tagli con tracce di colorazione in rosso. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura originale scomparso lungo il dorso. Volume restaurato.
Il decoro della cornice1 e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale. Caratteristica per il periodo la cartella invocatoria “yhs” su base circolare2, rettangolare nel secolo precedente3.
Impresso in lettere gotiche minuscole, “yhs” è inscritto in un cerchio raggiante; l’abbreviazione sulla h è disposta in modo da tagliarne l’asta, creando così l’effetto della croce: si ritrova in numerose coperte tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento. Questa forma grafica, introdotta da san Bernardino da Siena, fu adottata dai francescani suoi seguaci, che la dipingevano e scolpivano ovunque, perfino su manufatti minori, come i fermagli.
Il simbolo “yhs” in lettere gotiche, non raggiato, è stato pure utilizzato in legature tedesche tardogotiche, come dimostra la raccolta di impronte oggi custodita presso la Biblioteca Nazionale di Berlino, Preussischer Kulturbesitz. Il trigramma “yhs” in lettere capitali, raggiato, compare infine nel secolo XIX come simbolo massonico. Esso non va confuso con il simbolo della Compagnia di Gesù, che reca, sopra e sotto la lettera “H”, rispettivamente una croce e i chiodi della Passione.
7 I 33
Della Valle, Battista. Vallo libro continente appertenentie ad capitanii. Venetia, [Gregorio De Gregori?], 11 mar. 1524. 8°, [8], 72 c. ill.
Il decoro ad arabeschi1 e i quarti d’angolo2 di gusto orientaleggiante suggeriscono di attribuire la legatura al secondo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale.
8 A 235
Arte dei mercanti, drappieri e lanaioli, Reggio Emilia. [Statuti & ordini de la universitade & arte di mercadanti, draperi & lanari]. Regio, per Dionysio di Bertochi, 1502. 4°, [30] c.

Banda in cuoio nocciola di restauro su assi lignee (faggio). Tracce di un fermaglio costituito dal lacerto di una bindella in cuoio dall’anima in pelle allumata, inserito entro un’apposita sede sul piatto anteriore, assicurato con tre chiodi in ottone a stella e dall’impronta di una contrograffa pentalobata fissata con tre chiodi. Cucitura su tre nervi. Stato di conservazione: mediocre. Dorso rifatto. Volume restaurato.
La contrograffa pentalobata1 e le note tipografiche consentono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI eseguita in Italia.
8 D 77
Quaglia, Giovanni Genesio. Liber de civitate Christi. Regii, per Ugonem de Rugeriis, 22 ian. 1501. 4°, [198] c.

Lembo in pergamena su assi lignee. Tracce di un fermaglio costituito dall’impronta di una contrograffa a trapezio e lanceolata, rispettivamente collocate sul piatto anteriore e posteriore. Cucitura su due nervi. Tagli rustici, in testa e al piede due iscrizioni mss. di mano antica, rispettivamente: “Io. Genesius d(e) civit(at)e Chri (sti)” e “Civitate Christi”. Stato di conservazione: mediocre. Dorso rifatto, in fase di distacco in testa.
L’impronta della contrograffa a trapezio sul piatto anteriore e le note tipografiche sembrano assegnare la legatura al secolo XVI eseguita in Italia.
I supporti apparentemente muniti della traccia di una contrograffa1 sembrano indicare il riutilizzo di uno dei due supporti se non di entrambi in occasione del restauro, e comunque la loro inversione considerato il verso di aggancio sul quadrante posteriore per le legature italiane.
10 F 19
Quaglia, Giovanni Genesio. Liber de civitate Christi. Regii, per Ugonem de Rugeriis, 22 ian. 1501. 4°, [198] c.

• note di dettaglio
13 C 406/1-2
Le losanghe dal margine dentellato1 e le note tipografiche suggeriscono di assegnare la legatura alla prima metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale2.
• note di dettaglio
13 H 1013
Il fregio su base circolare1 e le note tipografiche consentono di assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Bergamo2. La contrograffa pentalobata3 ne conforta l’origine italiana.
13 K 518
Il decoro della cornice1 e le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura all’ultimo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Roma. Tra i fregi utilizzati nella cartella centrale, due coppie di fregi fogliati azzurrati che ricordano quelli a pipistrello2 (bat tools), pure utilizzati dall’ignoto legatore veneziano Meister der ovalen Mitte3 (Maestro dell’ovale centrale). Di gusto transalpino il seminato di cerchielli accorpati4.
13 K 807
![]() |
![]() |
Le doppie rosette gotiche pentalobate1, malgrado il gusto veneziano dei vasi fioriti e fogliati2, congiuntamente alle note tipografiche, consigliano di attribuire la legatura all’ultimo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Roma.
I tre nervi alternati a quattro apparenti costituiscono una caratteristica delle legature rinascimentali italiane3 (cfr. Ed. Ald. D 34).
14 D 9
![]() |
![]() |
I gigli1, lo stemma del pontefice2 e le note tipografiche assegnano la legatura al terzo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Roma.
La placca munita delle armi papali tiara e delle chiavi incrociate, probabilmente proprietà della legatoria vaticana, compare in altre legature3 realizzate per Pio V del quale sono noti manufatti muniti di una diversa piastra4. Lo stemma sul piatto posteriore5 è riferibile al cardinale Flavio Fulvio Orsini6, creato cardinale da Pio IV il 12 marzo 1563, scomparso il 16 maggio 1581.
14 D 18

Le losanghe dal margine dentellato1 e le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale.
• note di dettaglio
14 F 13

La Madonna e il Bambino collocati su un crescente1 suggeriscono di attribuire la legatura alla seconda metà del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale2.
Apprezzabile la diffusione del genere di cornice3 segnalata in legature rinascimentali spagnole4.
• note di dettaglio
15 E 149

Le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura al secolo XVI, verosimilmente eseguita in Italia. Secondo le aspettative il fiore del materiale di copertura parzialmente svanito lungo le aree di maggiori sollecitazioni: i bordi dei piatti e il dorso.
La stoffa (cfr. 15 H 913) nelle sue varietà (velluto, seta, damasco, tela di cotone) è materiale che ben si presta a ricoprire i libri. In Italia, e particolarmente nel tardo Medioevo, legature in tessuto furono eseguite a Roma, Firenze, Ferrara, Urbino; notizie sull’esistenza di questi antichi manufatti vanno però ricercate in documenti d’archivio, in quanto pochi esemplari sono scampati all’usura del tempo.
Seta e velluto si riscontrano come tessuti di fondo nelle legature a ricamo: queste, già note dal Medioevo, sono state eseguite sino a tutto l’Ottocento. Nel XVIII e XIX secolo furono impiegati quali tessuti di pregio, nelle fodere, il damasco (costituito da filati di seta di diversi colori in cui il disegno, per lo più a fiorami, risalta sul fondo per contrasto di lucentezza), il “moire” (tessuto di seta a riflessi marezzati ondulati), il tabis (tessuto di seta a onde marezzata), il raso (tessuto di seta di particolare brillantezza) e il taffettà (tessuto di seta compatto, liscio e uniforme).
I colori di questi tessuti spaziano in genere dal nocciola allo spumante, dal rosa antico al rosa pesca, non sempre armonizzati con quelli delle coperte. L’utilizzo dei tessuti richiedeva una grande accuratezza nella loro manipolazione, sia per non macchiarli sia per farli aderire correttamente senza far trasudare l’adesivo. Prima di essere applicati, i tessuti erano stirati a caldo. Potevano anche ricevere decorazioni in oro. Fu alla fine del XVIII secolo che, in seguito a difficoltà di approvvigionamento del cuoio, si iniziò a impiegare l’economica tela nelle mezze legature e nelle legature editoriali. A questo scopo vennero prodotte numerose varietà di tela in diversi colori, lisce o a grana a imitazione dello zigrino, del marocchino o del marocchino a grana lunga. La tela assume nomi differenti in relazione ai tessuti impiegati o ad altre caratteristiche; ad esempio, la cosiddetta tela inglese è di lino a grosse fibre; la percallina, di origine francese, è di cotone, leggera, lucida, a trama fitta; la tela zigrinata ha grana sottile che imita lo zigrino e si chiama canovaccio; la tela di canapa è grossa e ruvida, la tela detta marocchino, a grana grossa, imita appunto questo tipo di cuoio.
Nella seconda metà del XIX secolo, velluto e taffettà ricoprono strenne e almanacchi, spesso riccamente dorati, e ripropongono talvolta l’antica abitudine di arricchire le legature di tessuto con metalli preziosi, completandole con placche, borchie e fermagli in argento lavorato. Molte legature editoriali di questo periodo sembrano in seta, sono invece in carta ad imitazione del tessuto. Seta e cotone nei più vari colori e, meno frequentemente, damasco e velluto sono stati usati anche per confezionare bindelle e segnalibri.
15 F 218

L’impianto ornamentale e le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale.
15 F 241
![]() |
![]() |
Malgrado lo spiccato gusto veneto1 del decoro, le note tipografiche suggeriscono di attribuire la legatura al primo quarto del secolo XVI verosimilmente eseguita a Roma, città in cui lo smercio di libri era apparentemente assorbito localmente, stante l’importante domanda proveniente dalla nobiltà e dalla corte papale. Il genere di contrograffe2 tra l’altro, ne attesta l’origine italiana. Il taglio di gola inchiostrato3 suggerisce la collocazione del volume a piatto nella teca.
15 H 722
![]() |
![]() |
Il decoro1, la chiusura con aggancio sul piatto posteriore, le contrograffe tetralobate2 e le note tipografiche assegnano la legatura alla prima metà del secolo eseguita in Italia.
15 H 913
Tessuto blu ricamato in grigio su cartone. Tracce di due coppie di lacci in tessuto blu. Cucitura su tre nervi in pelle allumata. Tagli colorati in viola. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura parzialmente scomparso. Angoli ricurvi.
Utilizzata fin dal Medioevo, la legatura in stoffa decorata con ricami era destinata soprattutto ad ornare libri religiosi. Nel Rinascimento le legature ricamate compaiono anche su libri non devozionali, in genere di presentazione; tuttavia, almeno sino alla metà del XVIII secolo, la decorazione a ricamo ricopre prevalentemente libri liturgici e libri devozionali d’uso privato: libri d’ore, libri di esercizi spirituali e simili. La decorazione a ricamo fu sempre molto apprezzata in Francia, dove ha cultori ancora oggi: l’epoca d’oro fu tuttavia il Grand Siècle, il secolo XVII in cui gli ornamenti a ricamo ornano sontuose legature di Luigi XIII, Richelieu, Mazzarino, Anna d’Austria e dei principali membri dell’aristocrazia.
Questi lavori d’abilità e pazienza venivano eseguiti, in Francia come negli altri paesi dell’Europa cattolica, in comunità religiose femminili: sappiamo, ad esempio, che una legatura ricamata alle armi di Maria Clementina Sobieska, moglie del pretendente Giacomo Stuart, venne eseguita da una suora di un convento romano (Arnim1992, n. 106). In Inghilterra le legature ricamate ebbero gran voga sotto i regni di Elisabetta I (1533-1603) e di Giacomo I (1566-1625): i manufatti più complessi, prodotti da ricamatori e ricamatrici professionali riuniti in corporazioni, mostrano motivi tradizionali quali la Pace, la Fede, la Speranza, scene bibliche strettamente connesse al contenuto del libro, e in genere motivi floreali.
In Italia le legature in tessuto ebbero grande popolarità, specie nel XVIII secolo, per esemplari di presentazione: non mancano tuttavia esemplari più antichi, come quello che copre un manoscritto calligrafico databile al 1550-55, ricamato alle armi di papa Giulio III, la più antica legatura papale ricamata conosciuta. Anche Milano e Venezia furono città nelle quali, sin dal XV secolo, si affermò l’arte della decorazione a ricamo. Per Milano merita almeno ricordare un trattato di falconeria scritto nel 1459 e legato nello stesso anno per il duca Francesco Sforza con motivi floreali e il motto Mit Zeit; per Venezia si segnala un curioso lavoro a ricamo, eseguito su piatti in marocchino per un esemplare del Libro di natura d’amore dell’Equicola, databile intorno al 1536.
Nella seconda metà del XVIII secolo, si verifica un mutamento di gusto in questo tipo di decorazione, con la comparsa degli almanacchi a ricami caratterizzati da motivi d’epoca profani: amori, colombe, elmi, accompagnati da motti, ghirlande, nodi, strumenti musicali, ovali centrali dove scene galanti subentrano alle armi araldiche, ai monogrammi, alle figure allegoriche o al trigramma devozionale “IHS”.
La moda della decorazione a ricamo declinò, in Italia, nel periodo neoclassico: fanno eccezione alcuni libretti d’opera scaligeri del 1803 e 1805. Ebbe una ripresa negli anni Trenta del secolo perdurando per tutto il periodo risorgimentale: ricordiamo, accanto a un Calendario di corte per l’anno 1834 ricamato a fiori con il monogramma della regina Maria Teresa Francesca di Sardegna, due curiosi omaggi del presidente della Camera di Commercio di Cuneo, indirizzati il 13 novembre 1868 rispettivamente a Napoleone III e al principe Giuseppe Napoleone, l’uno in velluto tricolore ricamato con l’aquila imperiale, l’altro con la N coronata al centro d’un piatto in velluto azzurro cielo. Accanto a questi esemplari di lusso destinati a personaggi importanti, nel Settecento e nell’Ottocento furono prodotte in Europa anche legature ricamate su almanacchi o su keepsakes, rivolte a un pubblico più vasto.
I materiali impiegati per i ricami sono fili d’oro e d’argento, oppure di lana, lino e seta, di vario colore. Talvolta perle, coralli, lustrini arricchiscono questo raro e lussuoso tipo di decorazione. La base è in velluto, in satin, in taffetà o in seta. Per quest’ultimo tessuto, i colori più comuni sono le varie gradazioni del rosso, del rosa e del nocciola, mentre piuttosto raro è il verde: ben difficilmente le legature in seta si conservano in perfette condizioni, poiché la seta tende a sfilacciarsi sul labbro e a staccarsi dalla coperta, lasciando scoperti i supporti di cartone. Poiché il ricamo doveva essere posto a piatto sulla legatura, la sua base di appoggio non doveva presentare alcuna irregolarità: il dorso delle legature ricamate, perciò, è solitamente liscio o con nervature poco salienti.
La decorazione fa spesso riferimento al possessore od al testo del libro, e riprende in genere lo stile dell’epoca. I segni di possesso – armi o monogrammi – ornano prevalentemente libri non devozionali. Datare con precisione queste legature non è facile: gli aspetti tecnici della legatura e del ricamo forniscono limitate indicazioni cronologiche e topografiche.
L’identificazione degli esecutori è ancor più complessa: si può solo affermare che questi lavori erano in genere realizzati nell’ambito di comunità religiose femminili. Fondamentale per la storia delle legature a ricamo è il volume Livres en broderie, corredato da un glossario sui fili e sulla tecnica, pubblicato nel 1995 dalla Bibliothèque Nationale de France, a cura di Sabine Coron e Martine Lefèvre.
15 I 16

Se l’impianto ornamentale potrebbe suggerire l’origine veneta (cfr. Ed. Ald. D 34), l’inusuale cartella1 e le note tipografiche inducono ad assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita in Toscana.
15 I 319

La virtuale assenza di decoro e le note tipografiche assegnano la legatura alla metà (?) del secolo XVI, eseguita in Italia, caratterizzata dal supra libros probabilmente impresso in epoca posteriore alla sua produzione.
16 A 538

Le urne entro coppie di uccelli1, le corolle stilizzate2 e le note tipografiche sembrano assegnare la legatura alla prima metà del secolo, verosimilmente eseguita a Bologna.
16 B 7

Il cuoio sostanzialmente muto, i quattro fermagli, la chiusura sul quadrante posteriore e le note tipografiche assegnano la legatura al secondo quarto del secolo XVI, eseguita in Italia. Alcuna attendibile informazione è desumibile dalle contrograffe di recupero come attesta la loro diversa foggia1. Per altri esempi di mezza legatura cfr. Inc. A. 24, Inc. B 16, Inc. E 41.
16 B 495

Diversi fregi1 e le note tipografiche assegnano la legatura al terzo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna dalla bottega di Pflug & Ebeleben. Questa significativa bottega, senza dubbio di un libraio anche legatore, fu il più importante atelier impegnato nella realizzazione di legature artistiche a Bologna nel Cinquecento e uno di quelli che operò più a lungo. Esso fu probabilmente attivo tra il 1530 (?) e il 1570. Alcune indicazioni lasciano supporre che esso subentrò alla bottega del legatore degli studenti tedeschi; certamente ebbe la maggior parte dei propri clienti fra gli studenti tedeschi. Trasse la denominazione da due cugini, rampolli di nobili famiglie sassoni, che compirono gli studi a Bologna verso il 1540, Damian Pflug e Nikolaus ab Ebeleben. Entrambi fecero imprimere sulle coperte dei loro libri, il proprio nome, la data ed il luogo della legatura. È noto che Pflug tra il 1543 ed il 1545, fece realizzare a Bologna 7 legature, mentre 35 furono approntate per Ebeleben tra il 1543 e 1548. Altri clienti tedeschi furono il conte Heinrich zu Castell e Georg Zollner in Brandt. Queste legature seguivano l’uso consueto a Bologna, di aver soltanto il centro dei piatti impresso in oro entro un riquadro decorato secco. Lo stile della bottega conobbe un radicale mutamento negli anni Quaranta, evidentemente in risposta alle richieste della clientela tedesca.
Pflug ed Ebeleben visitarono Parigi, città in cui fecero legare alcuni libri, prima di giungere in Italia. Le loro legature bolognesi seguirono la moda delle legature parigine a nastri intrecciati. Nutrito l’elenco dei manufatti realizzati da questa bottega e la bibliografia relativa.
16 D 645

Diversi fregi1 e le note tipografiche assegnano la legatura alla fine del secolo XVI, eseguita a Roma dalla bottega vaticana Soresini.
Iniziatore di questo atelier fu Francesco Soresini, associato con Giovanni Ferreiro, fu nominato legatore vaticano dopo la morte di Niccolò Franzese2 (verso il 1570): il suo nome compare due volte nel registro Camerale I, 1811 in cui è menzionato come legatore di libri il 12 agosto 1575 e libraro il 9 maggio 1576. Con questo artigiano, inizia l’attività di quella vera dinastia di legatori, i Soresini, i cui esponenti, lo stesso Francesco, Prospero ed infine il più noto Baldassarre, gestirono la legatoria Vaticana per almeno mezzo secolo fino alla prima metà del Seicento3. Sia Francesco che Prospero lavorarono per la Basilica di S. Pietro durante il pontificato di Sisto V, fra il 1588 ed il 1593. Mentre i loro nomi ricorrono associati ai nomi dei papi da Gregorio XIII a Clemente VIII Aldobrandini (1591-1605), più tardi si affaccia, sotto il pontificato di Paolo V, il nome di Baldassarre Soresini, il nipote, che fra l’altro ricoprì anche le cariche più importanti nell’ambito della Corporazione dei Librari e dei legatori. La studiosa Mirjam Foot segnala 18 legature opera di questo artigiano su libri stampati tra il 1602 ed il 1619, la maggior parte dei quali è stata rilegata nelle prime tre decadi del XVII secolo cui Piccarda Quilici aggiunge almeno 13 esemplari eseguiti per la Depositeria vaticana: stando a quanto si legge sui mandati di pagamento di questi libri, l’attività si sarebbe prolungata fino almeno al 1634, sotto il Pontificato di Urbano VIII. Si tratterebbe per il solo Baldassarre di oltre un quarantennio di attività: pare abbia iniziato a lavorare verso il 1590.
L’attività dei Soresini si prolunga per diversi pontificati e matura con il variare dei committenti ed in un così lungo arco di tempo, una sua particolare evoluzione. Dopo Sisto V, l’atelier ha eseguito diverse legature per Clemente VIII: tra quelle di presentazione in cui si nota una spiccata tendenza ad una maggiore ricchezza decorativa: conformemente al gusto à la fanfare, i piatti sono interamente ricoperti con una fitta decorazione uniformemente dorata che spicca sul marocchino rosso acceso. La cornice, molto sottile ed interrotta in lunghi segmenti per conferirle maggiore leggerezza, ha la sola funzione di profilare il bordo dei piatti, mentre il campo centrale, racchiuso in testa ed al piede da archi a volta, motivo prediletto delle legature romane del tempo, è diviso in compartimenti provvisti di una miriade di ferri, spirali, foglie, squame, angioletti che si snodano intorno allo stemma pontificio.
Questa bottega ha dato il meglio di sé nel periodo in cui ha lavorato, nella legatoria vaticana, per la famiglia Borghese, nelle legature destinate a Paolo V (1605-1621): tenta di rinnovarsi ricorrendo ad una composizione più aggraziata: la cornice ed il centro sono nettamente separati tra loro e si accordano in armonia: rispetto alle legature eseguite per Clemente VIII, la cornice assume una maggiore importanza e diventa una larga bordura a decorazioni figurate, in cui i ferri non sono organizzati in gruppi ben separati agli angoli o al centro dei lati, ma si susseguono lungo l’intera cornice, liberi o incastonati entro degli spazi, alternandosi ai tratti vuoti. Fra i ferri, sempre molto variati, oltre alla gamma egizia (sfingi, erme, cariatidi, baldacchini di protezione) si manifestano altre simbologie ispirate al mondo classico: tipico è il ferro con due cornucopie intrecciate che rappresentano la carità cristiana, poi tritoni che suonano (ancora impressi su legature del XVIII secolo), come pure le sottili spirali che terminano con teste di animali affrontate come i delfini: i suoi ferri sono di un’insuperabile perfezione, sia per la bellezza del disegno che per l’accuratezza dell’incisione. Contrariamente all’uso vigente che destinava le legature di lusso ai libri ufficiali o di presentazione, e quelle più semplici alla biblioteca privata del papa, nelle raccolte di Paolo V, non vi è alcuna differenza tra le une e le altre.
Armi riferibili al cardinale Pietro Aldobrandini (1572, 1593-1621).
La scritta lungo il taglio di piede4 suggerisce la collocazione del volume a piatto nella teca.
16 G 122

I decoril propongono di assegnare la legatura al primo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita nell’Italia settentrionale
16 H 125

17 C 135

I fregi fitomorfi1 accantonati dalla corolla striata (cfr.17 C 414), quest’ultima del genere presente in manufatti rinascimentali felsinei2, propongono di attribuire la legatura all’ultimo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita in Emilia Romagna. Stemma non identificato3.
17 C 252
![]() |
![]() |
Il genere di scudo1, pure utilizzato per i manufatti di altri pontefici2, e le note tipografiche assegnano la legatura all’ultimo quarto del secolo XVI, verosimilmente eseguita a Roma. Inusuali le ampie corolle accantonate3.
17 C 414
17 E 175
![]() |
![]() |
Gli inediti fregi1 e le note tipografiche propongono di attribuire la legatura alla prima metà del secolo XVI, eseguita in Italia. Conformi alle aspettative per i manufatti italiani del periodo le contrograffe a trapezio2.